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Onora i genitori: una promessa

Ricordo il mio commosso stupore quando una anziana donna rumena, di professione badante, una domenica mattina al culto, in chiesa, rivolse al Signore una spontanea preghiera di intercessione per l’anziano da lei assistito, molto sofferente e giunto alla fine della vita. Mi colpirono la tenerezza, la partecipazione, il sincero affetto. La storia mi è tornata in mente quando ho visto di recente le scene di un delicato film, A simple life, che parla appunto di una anziana a servizio di una famiglia borghese per oltre 60 anni, la quale assistendo con dedizione profonda l’ultimo rampollo della stirpe, viene poi colpita da un ictus.

Che cosa succede quando chi si è preso cura per tutta la vita della propria o della altrui famiglia, diviene per l’età o per un evento traumatico, essa stessa bisognosa di accudimento? La domanda, confessiamolo, ci trova sovente impreparati. Sicuramente lo è chi ha fatto del servizio agli altri la ragione della propria vita. Il cambiamento è talmente radicale che molti dichiarano candidamente di temere la perdita della propria autonomia molto più che la morte stessa.

Ma il cambiamento trova spesso impreparata anche la società, la quale, facendo sempre di più leva sulla efficienza e sulla produttività, manifesta sempre più spesso un grave deficit di attenzione sociale, verso chi si viene a trovare in una simile situazione e non ha mezzi per far fronte alla sua mutata condizione. C’è poco spazio sociale per badare a chi ha badato per tutta una vita. Quasi nessuno, se si tratta di una persona sola, straniera o povera.

Nel film che citavo prima, accade che il giovane accudito, dinanzi alla malattia dell’anziana domestica, scopra un sentimento di sincera gratitudine che lo porta poi a prendersi cura di lei con tenerezza, quasi filiale. È così che dovrebbe essere. È così che una società dimostra di essere umana e matura: quando ben al di là del supporto sociale ed economico che comunque vanno garantiti, le relazioni si rafforzano nel senso della compassione, dell’empatia e chi per tanto tempo è stato accudito, impara a restituire le attenzioni a chi si trova a svolgere questa ultima fatica che è il diventar vecchi e morire.

Vorrei che attraverso questa «finestra», stamattina arrivasse una nota di sincera gratitudine verso chi ha speso la propria vita ad assistere altri, andando ben oltre il mansionario. Ma mi piacerebbe tanto che fosse anche una nota di incoraggiamento, per chi per lunghi anni ha ricevuto premure e assistenza, e oggi si trova dinanzi all’urgenza di prendersi cura del proprio caro in difficoltà, ammalato o anziano.

Finché una generazione saprà restituire all’altra le tenerezze ricevute, rinunciando a giudizi di bilancio e di merito, finché sapremo manifestare una gratitudine personale e sociale ai nostri vecchi, e sapremo dare «onore» a chi oggi è nella difficile condizione della perdita, anche solo parziale, della propria autonomia, ci sarà un futuro di benedizione per noi, come recita l’antico comandamento divino «Onora tuo padre e tua madre affinché i tuoi giorni siano prolungati sulla terra». Più che un comandamento prezioso, una promessa.

Foto: Licenza: CC0 Public Domain, via Pixabay