Un momento della serata in Piazza D'Armi a Pinerolo

XVII Febbraio, libertà da, libertà per…

La festa del XVII febbraio ricorda, com’è noto, la concessione dei diritti civili e politici alla popolazione valdese del Regno di Sardegna. Segnava, assieme all’analogo provvedimento nei confronti della popolazione ebraica, il passaggio necessario alla concessione dello Statuto, cioè il passaggio da monarchia assoluta a monarchia costituzionale in senso ottocentesco. Per la popolazione valdese, fu la fine di uno status giuridico di restrizioni che risaliva alla Convenzione di Cavour del 1561. I falò, accesi tutti gli anni con l’eccezione del tempo di guerra, significavano nella loro evidenza la fine del coprifuoco, e restano a tutt’oggi l’unica festa di origine risorgimentale che coinvolge contemporaneamente migliaia di persone in diversi comuni italiani.

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La teologia del Risveglio che soffiava nelle Valli proveniente dalla Svizzera romanda, permise ai valdesi di superare l’interpretazione letterale delle Lettere patenti in direzione di una libertà missionaria (in quanto la legge dichiarava che la concessione dei diritti non riguardava una concessione al culto professato). Da questo superamento nacque la prima delle libertà per…, per testimoniare all’Italia il liberante Vangelo di Cristo. La costituzione delle chiese valdesi fuori dalle Valli e i milioni di Bibbie venduti e distribuiti a una popolazione italiana in parte ancora analfabeta stanno a dimostrare quale delle libertà era stata servita e proposta per gli italiani: la libertà di credere e di testimoniare, coraggiosamente e a tutto campo.

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Novant’anni dopo il 1848 l’Italia conobbe la vergogna delle leggi razziali e delle sue conseguenze devastanti per la popolazione ebraica, conseguenze spesso ancora oggi minimizzate e nascoste sotto il tappeto degli “italiani, brava gente”. L’articolo del prof. Mario Falchi su “La luce” intitolato “Quel che dobbiamo a Israele” fu l’unico articolo di critica alle leggi razziali stampato nell’Italia del 1938. Parafrasando Bonhoeffer, ricordiamo che chi non alza la voce in favore dei perseguitati di oggi forse non ha molto diritto, oggi, di cantare il Giuro di Sibaud.

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Foto P. Romeo/Riforma

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