La fede, internet, i giovani

Vicino a Washington si trova l’Università George Mason (dedicato a uno dei fondatori degli Stati Uniti d’America, «Padre della Dichiarazione dei Diritti»). Lì c’è un servizio di cappellania universitaria promosso dal alcune chiese protestanti storiche, tra le quali quella metodista e quella presbiteriana. Proprio metodista è Mark Montgomery, giovane pastore che segue il progetto Arise (Risorgi): offre agli studenti un culto settimanale, cura pastorale e progetti diaconali che coinvolgono attivamente (come la preparazione e la distribuzione di pacchi alimentari). Con Mark affrontiamo un tema attuale e strategico, anche per noi: il rapporto con i social media (facebook, twitter, etc).

Gli Usa sono un po’ più avanti rispetto a noi nel rapporto con le tecnologie elettroniche: tutti «smanettano» telefonini di diverse misure (tutto qua è più grande, anche i cellulari!), sono costantemente on-line. Anche le chiese si sono adeguate con servizi di vario tipo: informazioni aggiornate sulle attività, culti videoregistrati per chi non può partecipare di persona – in alcuni casi trasmessi in diretta via streaming, così che si possa seguire quel che avviene come se si fosse fisicamente lì. Però esse sono anche consapevoli del fatto che questa diffusione delle tecnologie ha alcuni limiti. Per esempio provoca un intasamento di possibilità. Ce ne accorgiamo anche noi: se digitiamo la parola «chiesa» su un motore di ricerca in internet, notiamo sì che la Chiesa valdese ha lo stesso risalto di altre, magari più numerose… ma anche il fatto che essere tutte sullo stesso piano implica un secondo livello di proposta a chi ti cerca o ti trova magari per caso.

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Un altro problema – facilmente verificabile anche in Italia – è che spesso chi è costantemente connesso è allo stesso tempo qui e altrove. Ti parla ma sta anche pensando ad altro; gli o le parli, ma sta anche ascoltando fonti diverse, magari coerenti con quel che stai discutendo, magari completamente diverse. Non si tratta della banale distrazione di chi chiacchiera di Dio e guarda i passerotti che volano o pensa alle sfortune dell’Inter: si tratta di un tipo di comunicazione che implica la possibilità di «canali» paralleli, non necessariamente alternativi. Da conoscere e maneggiare con competenza e realismo. Non per nulla un esperto come il pastore Montgomery ci ricorda che non dobbiamo «idolatrare» internet, affidare alla macchina o alla tecnologia il compito di evangelizzare, ma piuttosto coglierne possibilità e limiti. Un approccio molto pragmatico (tipico di come si legge il mondo negli Usa) ma anche utile per evitare delusioni.

Quindi niente lunghi sermoni o speculazioni complesse, ma video, spezzoni musicali, foto, rimandi ad altri siti internet, predicazioni riassunte in poche immagini essenziali…. ma soprattutto una consapevolezza fondamentale: la chiesa è prima di tutto relazione a tu per tu, tra le persone e con Dio – e niente può sostituire questa relazione che si basa su disponibilità e gratuità. Certo internet può essere una splendida bacheca, una finestra sul mondo e dal mondo, ma non un surrogato della nostra disponibilità a metterci in gioco. L’immancabile sito?