La mafia che si confonde

Il Procuratore Generale ha chiesto l’annullamento con rinvio all’appello di tutte le condanne con rito abbreviato del Processo Minotauro, sulla presenza dell’Ndrangheta in Piemonte, perché non ritrova il metodo mafioso all’interno delle motivazioni della sentenza: «il giudizio in Cassazione è un giudizio di legittimità, non di merito – dice Maria José Fava, di Libera Piemonte – cioè per capire se l’utilizzo della norma e quindi degli articoli di procedura penale sono adeguati a un determinato reato». Libera Piemonte segue il Processo Minotauro da vicino, e si è costituita parte civile fin dall’inizio. Questa richiesta è l’ennesima prova di come sia difficile leggere e riconoscere le organizzazioni mafiose in Piemonte.

Cosa significa questa richiesta secondo lei?

«In questo momento il Procuratore ha chiesto l’annullamento con rinvio all’appello. La sentenza dove vedremo cosa deciderà la corte, sarà il 23 di febbraio. Sarà molto interessante vedere cosa si deciderà. Penso che sia l’ennesimo esempio della difficile lettura delle modalità delle mafie nel nord Italia. Pensiamo a cosa è accaduto con l’operazione Albachiara, che riguardava l’infiltrazione dell’Ndrangheta nel basso Piemonte, o il processo Maglio Tre in Liguria: c’è una difficoltà nel leggere quali siano le effettive modalità attraverso cui le organizzazioni criminali operano nelle regioni del nord. Ci sono delle differenze rispetto al sud, ovvie, ma che comunque rispettano i criteri dell’articolo 416 bis. Per esserci la modalità mafiosa non deve esserci per forza il sangue per le strade, ma ci possono essere altre modalità di controllo, di creazione della paura, di omertà. All’interno delle aule durante il Processo Minotauro, abbiamo visto la paura delle persone, il controllo del territorio, l’omertà. Nelle parole della Cassazione non si nega che siano criminali, ma si dubita che ci sia la struttura organizzativa mafiosa. Ma in aula ho visto gli effetti della struttura organizzativa, dei riti di affiliazione, di come vengono date le doti, i poteri e le comunicazioni tra gli uni e gli altri: questa è organizzazione, non sono dei singoli criminali. Per il 416 bis, l’organizzazione è già un elemento del metodo mafioso».

Come si è parlato di questa notizia?

«I titoli dei quotidiani sono stati fuorvianti. Alcuni conoscenti mi hanno chiesto “ma è tutto finito?”. Non è finito, ed è un peccato avere questi processi che fanno su e giù con la spesa di soldi pubblici, e vedere che la popolazione ha sempre meno fiducia in una giustizia che sembra non arrivi mai alla fine. Per come sono organizzati i nostri processi, non c’è una linea unica di interpretazione: può anche essere un bene. Ma in situazioni come questa rischiano di rallentare e di avere interpretazioni opposte. Nella sentenza Albachiara in primo grado erano tutti assolti, in secondo grado tutti condannati per 416 bis: questo lascia qualche domanda, come è possibile?».

Voi seguite Minotauro da vicino: a che punto siamo?

«Il processo Minotauro è diviso in due grandi filoni, il rito abbreviato, di cui stiamo parlando, e poi il rito ordinario, quello in cui Libera è costituita parte civile, in cui siamo al secondo grado di appello, e l’udienza è appena ricominciata. La notizia più importante è che finalmente abbiamo delle sentenze che ci dicono che l’ndrangheta in Piemonte c’è». 

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Foto: Torino, panorama con la Mole Antonelliana, CC0 Public Domain, by pixabay.com