HK Occupy Central in Harcourt Eoad

Torna il movimento Occupy Hong Kong: con quale slancio?

Il movimento Occupy Hong Kong nell’autunno del 2014 era riuscito a fermare parte della regione amministrativa, per ottenere il ritiro della piattaforma presentata da Pechino, per il sistema elettorale locale, in vista delle elezioni del 2017. Pechino permetterà il suffragio universale (che non c’è mai stato a Hong Kong) ma filtrando i candidati e tenendo solo quelli patriottici, non in netta opposizione con la Cina. I primi di febbraio il movimento è tornato per le strade, ma senza occupare e con un numero di partecipanti nettamente inferiore. Abbiamo commentato la notizia con Gabriele Battaglia, giornalista di ChinaFiles e corrispondente di Radio Popolare.

In queste ore abbiamo letto del ritorno di Occupy Central, la manifestazione per la democrazia a Hong Kong: qual è la percezione dell’evento da Pechino?

«La mia percezione è che non sia tornato un bel niente, c’è soltanto una manifestazione di alcune migliaia di persone richiamate in strada per tenere vivo il ricordo di Occupy Hong Kong, ma con numeri che non sono assolutamente paragonabili a quanto successe lo scorso autunno. Inoltre il fatto che il movimento non abbia grandi possibilità lo dimostra il fatto che le autorità non si siano minimamente preoccupate, c’erano duemila poliziotti, e gli stessi protagonisti del movimento hanno ribadito  che non c’è nessuna intenzione di tornare alle occupazioni. Lo ha dichiarato, per esempio, Alex Chao, uno dei leader studenteschi e questo ci fa capire che le contraddizioni che hanno portato alla fine del movimento non sono superate».

L’interlocutore è quindi Pechino, visto che il governo di Hong Kong è stato immobile?

«Sì, ma il messaggio che è arrivato da Pechino già in autunno è stato di disinteresse. Pechino ha agito bene, dal suo punto di vista, perché ha lasciato che il movimento si esaurisse da sé, senza neanche doverlo reprimere. Diverso è il caso di chi ha solidarizzato con il movimento Occupy in Cina continentale, facendosi per esempio fotografare sui social network con l’ombrello giallo, simbolo della protesta: qui ci sono stati degli arresti, almeno 30 persone. La polizia di Hong Kong agisce in modo molto morbido, avvertendo prima, con trasparenza, senza metodi troppo violenti».

Come si è conclusa l’esperienza dell’occupazione di Hong Kong?

«La piazza aveva trovato un muro contro muro con l’amministrazione di Leung Chun-ying, chief executif della regione, che non ha offerto nulla al movimento. Quando le manifestazioni sembravano più imponenti ci fu un incontro con gli studenti, ma non portò a nulla. Il movimento era estremamente composito, e quando si è seduto a un tavolo non ha trovato una sintesi, e ora è ancora a quel punto. Sono stato a Hong Kong proprio quando il movimento stava finendo, a dicembre, e ho assistito agli ultimi sgomberi. All’interno del movimento era netta la sensazione di una sconfitta. Una sensazione che è dovuta all’età giovane dei manifestanti, e alla non consapevolezza di quanto è stato fatto. C’era stanchezza e la sensazione di non aver ottenuto nulla sul piano politico dopo così tanta fatica. La nuova generazione di Hong Kong comincia a percepire di non avere più un futuro: qualche anno fa c’erano più prospettive e nessuno protestava. C’è una generazione perduta, come accade in occidente, che a fronte di una maggiore concorrenza in forza lavoro a basso costo da parte della Cina continentale, non ha più nessuna garanzia, mentre i beni continuano ad aumentare di prezzo. Il sistema sanitario è messo a dura prova, così come le scuole e così via. La “democrazia genuina” che chiedeva il movimento era rappresentata da gruppi di estrema destra ed estrema sinistra, per esempio, che in alcuni momenti si boicottavano a vicenda, non riuscivano a confrontarsi. Quando è stato il momento di passare alla parte politica non hanno trovato una sintesi».

In queste manifestazioni, è cambiato qualcosa? La lezione è servita?

«La mia sensazione è che questa manifestazione sia stata più che altro una testimonianza. Se c’è una ripresa della guida da parte della generazione dei cinquantenni, un trasferimento al momento politico, diciamo, allora c’è ancora una possibilità. La manifestazione è stata organizzata in concomitanza della consultazione di tutte le forze politiche per discutere di questa riforma elettorale. All’interno del consiglio legislativo, ci vanno i 2/3 dei voti e il 40% è dei pandemocratici, e possono realmente fare opposizione. Il movimento è sceso anche per rafforzare questa dinamica. Ciò detto sempre meno gente simpatizza per il movimento. Se viene restituito welfare agli Hongkonghini, il movimento avrà sempre meno sponde. Detto questo non è giusto vivere come una sconfitta il fatto che il movimento sia calato: il punto importante è che un’intera generazione, tacciata di essere politicamente immobile, ha fatto esperienza di democrazia diretta, di creatività, di partecipazione, occupando le strade per due mesi, e spezzando la macchina capitalistica della città come luogo di produzione e basta. Il movimento continuerà tra le righe e, forse, sarà pronto dopo il 2017. Sarà una nuova partenza e sarà interessante vedere cosa succederà».

 

Foto: “HK Occupy Central in Harcourt Eoad“, di Calvin YC, con licenza CC BY 2.0, via via Wikimedia Commons