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I morti e le altre vittime del terrorismo

Parallelamente agli attentati di Parigi, nei giorni scorsi si è tornato a parlare della drammatica situazione della Nigeria, sconvolta dagli interminabili attacchi del gruppo terroristico di Boko Haram, che negli ultimi attentati avrebbe usato anche delle bambine come trasportatrici dell’esplosivo: «ci viene in mente che la scelta di bambine, femmine, da parte di Boko Haram non sia casuale – dice Rino Sciaraffa, portavoce di Compassion Onlus – ricordando anche il sequestro ad aprile di circa 300 adolescenti e bambine che frequentavano la scuola pubblica». La seconda settimana di gennaio i miliziani hanno preso il controllo di Baga, sede di una grande base militare nel nord est del paese. L’attacco ha provocato centinaia di vittime, circa duemila secondo alcuni testimoni. Gli osservatori sostengono che l’l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali il prossimo 14 febbraio sia da collegare agli attacchi. 

Come legge le ultime notizie dalla Nigeria?

«Quello che è accaduto a Parigi ha avuto un riverbero mediatico per quello che continua succedere in Nigeria. Ma non solo in quei giorni, il 23 dicembre a Gombe è esplosa un’autobomba che ha ucciso 20 persone. Nel 2014 e già all’inizio del 2015 c’è stata una forte escalation di violenza. Sappiamo che delle bambine sono state coinvolte, al contempo come vittime e carnefici degli ultimi attentati. Subito ci viene in mente che la scelta di bambine, femmine, da parte di Boko Haram non sia casuale, ricordando anche il sequestro ad aprile di circa 300 adolescenti e bambine che frequentavano la scuola pubblica: un sintomo di quella che è la condizione sociale e religiosa del nord est del paese».

Le bambine protagoniste degli ultimi attentati sono state definite kamikaze. Cosa ne pensa?

«I termini sono importanti e a volte danno il senso di un’informazione sbagliata. Il termine kamikaze dà un senso di suicidio, di martirio, sicuramente in queste bambine di 10 anni non c’era nessuna scelta volontaria, tant’è che presumibilmente sono state fatte esplodere,. Forse l’informazione è abituata a utilizzare determinati titoli classificando un evento di carattere terroristico: potremmo pensare che l’attentato in Nigeria non è fatto da persone che hanno scelto di morire, ma frutto di una scelta che altri hanno fatto nei loro confronti. Stare attenti a queste affermazioni aiuta a dare il senso della notizia e della sua tragicità». 

Sicuramente si può dire che la popolazione nigeriana è vittima di Boko Haram.

«La recrudescenza di questi attentati parte dal 2012, anche se sono da considerare le tensioni presenti dal 2009. Abbiamo i dati delle vittime, ma si stima che nel paese ci siano oltre 2 milioni di persone che cercano di migrare dalla regione di Borno e Yoba e si rifugiano altrove: persone che hanno perso tutto e sono vittime del terrorismo. Le notizie vengono amplificate per la tragicità dei morti, ma ci sono anche moltissime altre ripercussioni su molte altre vite: persone che sono costrette a fuggire, magari in paesi confinanti, principalmente il Camerun, e altre che hanno perso tutto. L’agricoltura è l’attività principale nel nord est: perdere la terra, per un contadino significa perdere la possibilità di sopravvivere». 

Il 14 febbraio ci saranno le elezioni, il governo spesso è stato tacciato di non fare abbastanza contro Boko Haram. Gli ultimi attentati c’entrano con le questioni politiche?

«Assolutamente sì. Si stima che il presidente della Nigeria Goodluck Johnatan, una figura discussa all’interno nel paese, abbia un patrimonio personale di 185 milioni di dollari. Lo Stato ha un alto tasso di corruzione, dovuto anche ai suoi giacimenti di petrolio. L’avvicinarsi delle elezioni e la fede islamica dell’ex generale Muhammadu Buhari, possibile successore dell’attuale presidente, potrebbe essere una maggiore spinta a islamizzare il paese. Gli ultimi attentati sono avvenuti anche in stazioni della polizia, contro le istituzioni dunque. La complessità della situazione ci fa dire che anche le prossime elezioni potrebbero cessere determinanti».

Come lavorano le ong come la vostra in queste situazioni?

«Dalla fine dell’epoca coloniale il paese è stato caratterizzato da profonde diversità etniche e religiose, linguistiche, culturali: le tensioni ci sono state da allora. Le attività che le ong svolgono servono soprattutto per arginare la situazione più tragica, soprattutto per i profughi e i rifugiati. I più grandi partner sono Stati Uniti e Gran Bretagna: a prescindere dagli accordi commerciali petroliferi, l’Europa potrebbe fare maggiori pressioni di carattere politico su questi paesi, affinché si possa abbattere il livello di corruzione e che i diritti di royalties che versano le compagnie petrolifere occidentali possano avere un serio riverbero nella costruzione di infrastrutture per lo sviluppo del paese, come scuole, ospedali, e strade. In questo modo l’azione internazionale potrebbe dare un aiuto concreto. Ma le ong qui lavorano solo in condizioni di emergenza».

Foto via Flickr