siria

Cinquemila euro a testa

«Ciao mi puoi controllare se il 21 di dicembre c’è una tempesta nel mediterraneo tra Grecia e Italia?». La mia mattinata comincia così. E’ Muhammad (il nome è di fantasia) che scrive da un porto della Turchia. E’ preoccupato, da due giorni lui, suo padre e quattro amici stanno aspettando il momento buono per partire: sei giorni di viaggio chiusi nei container direzione Sicilia. Muhammad l’ho conosciuto per caso un anno e mezzo fa a Kilis, al confine tra Turchia e Siria. Ha 20 anni, parla turco, arabo e inglese, studiava ad Aleppo, primo anno di ingegneria. La sua famiglia è scappata sotto le bombe nel 2012; a piedi hanno passato il confine pagando una guida che di notte li ha guidati sulle colline attraverso i campi minati. Due fratelli e il marito della sorella sono in guerra contro la dittatura di Assad. Un altro è morto, di un quarto non si hanno più notizie. Le sorelle più grandi e più piccole con i genitori stanno in un piccolo appartamento a Kilis, pochi chilometri oltre la frontiera. Rispetto ad altri profughi stanno bene, alcuni cuscini e materassi per terra per dormire, hanno l’acqua e un po’ di elettricità e un piccolo bagno in casa. Hanno un tetto di cemento sulla testa ma l’affitto è caro. Tutto è triplicato a Kilis da quando sono arrivati i profughi. Molti dormono per strada sotto capanne fatte di teli di plastica o nei portici delle moschee o nei giardini pubblici. Muhammad vorrebbe studiare ma a Kilis non può fare nulla; di fatto non esistono che rifugiati. Si può solo stare in casa a leggere le notizie della guerra. Forse qualche lavoro in nero. Sono due anni che vivono così e ad Aleppo non hanno più nulla.

Muhammad è stato il nostro interprete e la nostra guida, quando siamo stati sul confine siriano per un reportage, nell’estate del 2013. Siamo entrati nelle case, abbiamo ascoltato le storie dei rifugiati siriani. Ci ha invitato da lui per la cena di ramadan e ci ha presentato a sua madre. Adesso sta dall’altra parte dello schermo, su skype, e vuole venire qui, in Italia, e poi magari in Svezia. Vuole vivere, studiare, trovare un lavoro e far venire la sua famiglia in Europa. Qualche settimana fa mi ha detto che forse riusciva a farsi dare un carta d’identità italiana falsa. Costava troppo, diecimila dollari, allora con suo padre è andato al porto più vicino e hanno trovato un cargo turco, 80 metri, container. Partiranno appena ci sono tutti, saranno circa 3-400 siriani, direzione Sicilia. Prezzo del biglietto 5000 euro a testa.

«Ma avete abbastanza acqua e cibo? Prenditi una batteria di riserva del cellulare già carica ti do il numero di amici siciliani che ti possono ospitare e quello della polizia costiera». Mi sento il fratello maggiore in ansia. Vorrei dirgli che è troppo rischioso e che forse ci sarà bufera tra qualche giorno sul Mediterraneo. Muhammad mi rassicura: «Se Allah, il misericordioso, mi ha protetto la sera che è arrivato un missile sulla casa accanto alla nostra mi proteggerà anche in mare. Tanto qui cosa resto a fare? Tu sei come un Imam, allora prega per noi». «Mandami un messaggio quando parti, se non sento nulla per domattina so che vi siete imbarcati». Partire con un contrabbandiere che guadagna circa un milione un milione e mezzo di euro a viaggio e che ti lascerà molto probabilmente su dei gommoni al largo delle coste italiane. Fuori dalle acque territoriali, in attesa della polizia, che il più delle volte viene chiamata dai siriani stessi e in balia delle onde. Pregare. Pregare che quel giorno non ci sia tempesta e che la polizia arrivi in fretta. Pregare che il viaggio non duri troppo, altrimenti il cibo e l’acqua nei container finiranno. Quando sei fuggito di notte sotto le bombe di Aleppo nulla ti sembra più un ostacolo. Essere arrestato e fermato dalla polizia italiana è quello che speri, perché vuol dire che sei arrivato dall’altra parte, bene o male sei in Europa e sei vivo. Poi si tratta solo di non fornire le impronte digitali, nessuno vuol fermarsi in Italia o chiedere asilo politico qui. Meglio la Svezia. E’ solo questione di tempo e di qualche altro migliaio di euro per passare le varie frontiere.

«C’è la polizia che ha circondato il motel, adesso non possiamo partire, ti scrivo dopo».

Alla polizia turca non interessa fermare davvero i siriani, anzi sono contenti se vanno via. L’importante è fare bella figura con l’Europa, e quindi ogni tanto ferma qualche barcone, ma se lo fanno i greci o gli italiani, possibilmente in acque internazionali, è meglio. «Ma come mai non arrestano i contrabbandieri?». La mia ingenua domanda viene spazzata via dal cinismo di chi ha già visto molto più di quello che sarebbe lecito vedere: «Sai quanto guadagna un poliziotto turco al mese? Ma domani forse riusciamo a partire, controllami le previsioni del tempo di nuovo, ho paura del mare e del vento forte».

Ho passato la notte e la mattina in silenzio. Ho pregato chiedendomi se davvero servisse a qualcosa. Ho pensato che quando si legge di qualche centinaio di morti annegati nel canale di Sicilia è diverso da quando si conosce qualcuno che rischia di fare la stessa fine. Ho pensato che non era giusto, ho provato a scrivergli che doveva restare in Turchia. Poi ho pensato a Kilis, ai fratelli in guerra, alle sue sorelle e alla mamma. Ho sentito che non potevo fare nulla ma che non potevo impedirgli di tentare. «Ciao, sto tornando a casa, il contrabbandiere non mi ha dato fiducia, mare troppo pericoloso e tempesta prevista tra cinque giorni. Troppo rischio; io e un mio amico torniamo indietro. Mio padre si è fermato e forse partono domani». Penso che forse si sono divisi per non rischiare di affrontare il viaggio insieme. Immagino il dialogo tra lui e suo padre, che gli dice di tornare a casa e che se lui non torna dovrà occuparsi di sua madre e delle sue sorelle. Dopo qualche ora arriva uno smile sul video: «Papà arrestato dalla polizia, meglio così almeno è salvo e non parte con il mare in tempesta».

Basterebbe che la Turkish Airlines si mettesse d’accordo con le altre compagnie aeree europee facendo pagare il prezzo del biglietto e regolando i flussi nei diversi paesi. Nessun rischio, nessun morto, meno costi per le spese militari e di polizia, possibilità di aiutare soprattutto le persone anziane, i bambini e i malati, guadagni per le diverse compagnie di bandiera europee, che potrebbero aumentare il numero di voli. Penso che se non lo si fa è perché a qualcuno conviene. Conviene finanziare i contrabbandieri nel Mediterraneo, conviene pagare costi elevati per le spese militari, conviene che i contrabbandieri corrompano le varie polizie, conviene avere una perenne emergenza non regolata, conviene avere un mercato nero di documenti falsi, conviene avere sempre qualche tragedia con cui riempire le pagine dei giornali, conviene gestire i rifugiati come una perenne emergenza, conviene convincere l’opinione pubblica che siamo invasi da potenziali terroristi e mostrare che l’Europa fa di tutto per fermarli.

Due giorni dopo Muhammad mi manda un selfie, sono tutti a casa a Kilis: anche papà è tornato ma ci riproveranno in primavera quando farà più caldo e sui Balcani non ci sarà più la neve. La via da terra è più lunga ma meno rischiosa.  

Foto Stefano Stranges