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Pluralismo religioso in salsa Rai

Il servizio pubblico radiotelevisivo italiano rispetta il pluralismo dell’informazione in materia religiosa e filosofica e non ha nulla da rimproverarsi. No. Il fatto che la chiesa cattolica romana totalizzi quasi il 100% di presenze sulle reti Rai rispetto ad altre confessioni di fede o orientamenti filosofici, per l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AgCom) non viola i principi di pluralismo e laicità pur previsti dalla nostra Costituzione. Lo abbiamo appreso pochi giorni fa dall’Unione degli atei e degli agnostici razionalisti (Uaar) a cui l’AgCom ha respinto un esposto presentato contro l’azienda per «violazione di pluralismo».

Poco importa se il contratto di servizio Rai impone di rendere disponibile a ogni cittadino “una pluralità di contenuti, di diversi formati e generi, che rispettino i principi dell’imparzialità, dell’indipendenza e del pluralismo”, né importa se deve avere “cura di raggiungere le varie componenti della società, prestando attenzione alle differenti esigenze di tipo generazionale, culturale, religioso, di genere e delle minoranze, nell’ottica di favorire una società maggiormente inclusiva e tollerante verso le diversità”.

E poco importa se da diversi anni, grazie alle accurate ricerche della Fondazione Critica Liberale sulla presenza delle confessioni religiose in televisione (sostenute tra l’altro dall’otto per mille valdese), sappiamo che lo spazio dedicato ad altre visioni del mondo, che non siano quella maggioritaria, si riduce a poche ore, per non dire minuti, all’anno! La nostra Authority preposta a garantire ai cittadini un’adeguata qualità dell’informazione, respingendo l’esposto della Uaar, non ha fatto altro che legittimare il monopolio religioso.

Quando poi l’AgCom adduce a vantaggio della propria argomentazione il fatto che la Rai riservi una “significativa attenzione” alle minoranze religiose con i programmi di RaiDue “Protestantesimo”, a cura della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei), e “Sorgente di vita”, a cura dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, oltre al danno – per la cittadinanza che avrebbe il diritto ad accedere ad un’informazione varia e diversificata sotto il profilo confessionale e filosofico -, si aggiunge pure la beffa, per chi negli anni si è visto relegare negli anfratti più invisibili del palinsesto Rai. Basti ricordare che queste due rubriche vanno in onda a settimane alterne per 30 minuti all’una e venti di notte.

Un esposto del tutto analogo e, ci vien da dire, altrettanto donchisciottesco, fu avanzato con il sostegno del Partito Radicale nel 2007 dalle chiese membro della Fcei insieme ad altre comunità religiose di minoranza. La preoccupazione verteva anche e soprattutto sul fatto che nell’ambito di domande e questioni etiche rilevanti per l’intera società italiana il servizio pubblico non desse sufficientemente conto dei diversi punti di vista. Se l’esposto delle minoranze religiose fu analogo a quello della Uaar, analoga fu la risposta. Con un’amara constatazione: le decisioni del garante non fanno che riproporre e perpetuare antichi privilegi tipici del sistema radiotelevisivo italiano.

Un dato sembra certo, e cioè che oggi come ieri, la quasi esclusiva presenza della religione cattolica romana sulla televisione pubblica ― non solo a livello di programmi da questa curati o che la riguardano, ma anche in tema di informazione ― fa assumere alla Rai l’immagine di una televisione dove ancora sopravvive il concetto di religione di Stato. Ma quel che è grave, è che a rimetterci non sono solo le minoranze religiose e filosofiche, ma la qualità della democrazia in questo paese. 

Foto: “TV noise” by Mysid – Self-taken photograph.. Licensed under Public Domain via Wikimedia Commons.