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La tortura è sempre un crimine

Secondo la commissione sui servizi segreti del Senato degli Stati Uniti, che ha da poco presentato un rapporto sull’operato della Cia, l’agenzia ha utilizzato la tortura in modo «brutale e inefficace» nei confronti di presunti terroristi di Al Qaeda. Il direttore della Cia sostiene che «le informazioni ottenute grazie al programma sono state fondamentali», difendendo le pratiche utilizzate. Ma per la commissione nemmeno uno di questi casi ha prodotto informazioni utili non ottenibili in altro modo: il punto che viene spesso dimenticato nei commenti e in qualche titolo di oggi, è che la tortura dovrebbe essere sempre considerata un crimine, senza giustificazioni. Abbiamo chiesto l’opinione di Alberto Barbieri, di Medu, Medici per i Diritti Umani, che ha diffuso un comunicato di Physicians for Human Rights sulle responsabilità degli operatori sanitari nelle torture.

Come ha letto queste notizie?

«Sicuramente la prima cosa da dire è che questo rapporto è molto importante: soprattutto perché evidenzia due elementi decisivi. L’utilizzo di metodi di interrogatorio rafforzato su sospetti terroristi islamici si sono dimostrati disumani e dall’altra parte sono apparsi inefficaci. Le letture possibili sono quelle della condanna, oppure della giustificazione, che sostiene che questo intervento sia decisivo per salvare vite umane, come ha affermato l’ex vicepresidente Usa Dick Cheney, dicendo che rifarebbe le stesse cose di fronte alla minaccia terrorista. Mi viene in mente la lezione di Antonio Cassese, giurista italiano che si è occupato di diritti umani, che dava diverse motivazioni contro queste pratiche: la tortura è immorale e viola la dignità umana, perché è degradante, sia verso il torturato che verso il torturatore, quasi sempre è inutile, getta in discredito lo Stato che lo applica e, inoltre, nei moderni Stati democratici i giudici non possono ammettere in giudizio prove basate su confessioni e testimonianze estorte sotto tortura».

Dire che “non sono servite” però ne giustifica l’utilizzo in caso contrario?

«No, certo, i principi dell’immoralità della tortura e il degrado umano che provoca restano centrali. Il rapporto Usa è comunque importante perché dà un analisi utilitaristica di queste tecniche, che risultano inefficaci, ma è solo uno degli aspetti dell’analisi».

Medu ha sottolineato la responsabilità degli operatori sanitari in queste pratiche.

«Medu ha diffuso un comunicato dell’organizzazione omologa statunitense, Physicians for Human Rights, che ha una grande esperienza sul tema della tortura e che si occupa da oltre 10 anni dell’uso sistematico di queste pratiche da parte dell’amministrazione americana dopo l’11 settembre. Gli operatori sanitari hanno avuto un ruolo fondamentale negli abusi e nelle brutalità rilevate dal rapporto. Parliamo di medici, di psicologi, che hanno avuto un ruolo nella progettazione di queste tecniche, del monitoraggio del dolore, ma che sono anche colpevoli di omissione, non potendo documentare con chiarezza gli effetti di queste pratiche. Insomma operatori sanitari che hanno utilizzato le loro competenze per distruggere il corpo e la mente dei detenuti, violando completamente l’etica medica. Il programma della Cia si è fatto scudo del fatto che ci fossero medici all’interno delle operazioni, giustificando questi metodi come sicuri e legali».

Cosa succede in Italia, dove il reato di tortura non è ancora stato introdotto?

«Questa è una grande contraddizione del nostro Paese: se pensiamo a Cesare Beccaria che ne scriveva nel 1764, condannando la tortura e, dall’altra parte, un introduzione del reato che tarda ad arrivare ancora ai giorni nostri. La tortura non è solo un fatto proprio dei Paesi con dittature, violenze o scontri, ma come ci testimonia il caso USA è diffusa ovunque. La pratica dei trattamenti inumani e degradanti sono presenti anche in Europa e in Italia: la necessità dell’introduzione del reato è assoluta. Il testo come è stato proposto ad oggi al parlamento è un primo passo, ma sicuramente in Italia rimane molto da fare: è una priorità civile e di diritto».

Dal punto di vista di chi subisce la tortura, è possibile ritornare a vivere?

«La tortura lascia dei segni indelebili e profondi, nel fisico e nella psiche delle persone; è possibile aiutarle, procedere con percorsi di cura, anche se ogni caso è diverso dall’altro: è un cammino doloroso che ha bisogno di assistenza specialistica, soprattutto psicologica».

Copertina: Monumento contro la tortura in Brasile. “Monumento Tortura Nunca Mais – Recife” por marcusrg – http://www.flickr.com/photos/canoafurada/742069390/. Licenciado sob CC BY 2.0 via Wikimedia Commons.