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Le risorse sono finite, ma l’emergenza no

L’agenzia delle Nazioni Unite ha dichiarato di aver bisogno di 64 milioni di dollari, e non è la prima volta che il problema si manifesta: «avevamo già lanciato un allarme molto serio a ottobre – racconta Vichi De Marchi, portavoce del Wfp in Italia – quando soltanto un grande finanziamento degli Stati Uniti aveva evitato di interrompere la distribuzione dei beni per l’assistenza alimentare a ottobre e novembre». Questa volta, però, le risposte non sono ancora arrivate, e la situazione globale non sembra giocare a favore. «Dobbiamo considerare – racconta ancora De Marchi – che molti paesi lottano con questioni di bilancio. Inoltre c’è una situazione di crisi umanitaria enorme, con cinque grandi emergenze ai massimi livelli secondo la classificazione delle Nazioni Unite: sono la Siria, l’Iraq, i paesi dell’Africa occidentale colpiti dal virus Ebola, il Sud Sudan e la Repubblica Centrafricana. C’è quindi un sommarsi di bisogni molto urgenti e di difficoltà finanziarie».

Si tratta di situazioni di emergenza accomunate da un elemento che non può essere ignorato: l’invisibilità. Secondo Francesca Pini, dell’Ufficio Mediterraneo di Oxfam Italia, «Siamo di fronte a una crisi protratta», e proprio questa dimensione di scarsa spettacolarità rende complessa la raccolta di fondi per la gestione della crisi.

«È forse il momento più difficile» racconta ancora Vichi De Marchi, e questa sensazione è comune a tutte le organizzazioni che lavorano in Siria. «Noi come Oxfam Italia – osserva Francesca Pini – prevediamo che per il prossimo anno probabilmente avremo solo il 60–70% dei fondi di cui avremmo necessità. Avevamo un target entro marzo 2015 di 150.000 individui assistiti, ma probabilmente ne raggiungeremo meno di 95.000. […] La crisi mondiale e la riduzione dei fondi per l’aiuto umanitario ci impongono di rivedere tutti i nostri programmi e progetti».

Sono poco meno di 11 milioni le persone che si trovano in una situazione di bisogno, e a preoccupare in modo particolare è il Libano, che deve far fronte a più di un milione di profughi registrati e a oltre 500.000 ancora dispersi in varie aree del paese in attesa di affrontare il processo di registrazione, una popolazione pari a un quarto di quella originaria del paese. Per capire quanto la situazione sia precipitata rapidamente bisogna pensare che all’inizio del 2013 i rifugiati siriani in Libano erano 200.000.

«Il periodo dell’inverno – prosegue Francesca Pini – era un periodo nel quale avremmo voluto intensificare i nostri aiuti, avevamo un programma di winterization, cioè tutto l’aiuto necessario per affrontare l’inverno, sia in termini di coperte, sia di legna e benzina per le stufe». A prima vista quello della gestione dell’inverno e potrebbe sembrare un problema secondario, immaginando un Medio Oriente sempre caldo, ma in realtà nel nord del Libano la temperatura può scendere fino a 15 gradi sotto lo zero in determinati momenti, e a causa del mancato riconoscimento dello status di rifugiati, 6 profughi siriani su 10 vivono in case abbandonate, senza finestre né porte, mentre un altro 20% vive nelle tendopoli.

Il Wfp si dice pronto a ricominciare a fornire i propri aiuti sin da subito, nel caso in cui arrivassero nuovi fondi, e allo stesso modo anche per Oxfam non bisogna arrendersi. «Continueremo a fornire assistenza primaria di primo impatto – afferma infatti Pini – e continueremo a lavorare per la coesione sociale».

Parlando soltanto di emergenza, tuttavia, si rischia di perdere di vista una domanda che non può essere tralasciata: di fronte a quale tipo di società ci ritroveremo quando finirà il conflitto? «Non si può rispondere solo con l’aiuto di prima emergenza – conclude Pini –, che copre i bisogni per due o tre mesi, c’è bisogno di garantire studi e cure, dobbiamo parlare di diritto al lavoro, trovare le condizioni per far vivere queste persone, fino a quando il conflitto avrà fine e potranno rientrare in Siria. È necessario fare un lavoro di pressione sul governo libanese affinché si trovi un’accettazione del rifugiato, che non sia più tale ma che abbia gli stessi diritti del cittadino libanese. Questo per noi è di primaria importanza, e sapere come sarà in futuro è difficile. Il Libano è un paese molto frammentato, ha 18 religioni diverse, che comunque nonostante tutto è sempre riuscito a mantenere una situazione di assenza di conflitto interno, e l’aggiunta di nuovi profughi con confessioni religiose diverse e che vivono a Tripoli, Beirut, Tiro, dove ci sono altre religioni, è una sfida su cui bisogna lavorare».

Foto: “An Aerial View of the Za’atri Refugee Camp” by U.S. Department of State – http://www.flickr.com/photos/statephotos/9312291491/sizes/o/in/photostream/. Licensed under Public domain via Wikimedia Commons.