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Da qualche parte si vive troppo a lungo

Nelle scorse settimane abbiamo saputo di un compleanno eccezionale: quello della signora Emma Morano che, nella sua casa di Pallanza, ha festeggiato i 115 anni di vita! Nonnina d’Italia e forse d’Europa, è stata subito definita, l’abbiamo vista tutta pimpante in tv e ci hanno rivelato i segreti della sua dieta: due uova al giorno, un etto di carne macinata cruda, fette biscottate, minestrina, vasetto di frutta…

Il tutto mi ha fatto pensare alla cosiddetta “speranza di vita”, vale a dire il numero di anni (in media) che si calcola possa vivere ogni bambino che nasce. La prima cosa che viene in mente è che dipende dal paese, più o meno ricco, in guerra o in pace, affamato o troppo sazio… Ovviamente poi c’entrano il reddito della famiglia, le condizioni igieniche, l’assistenza, l’istruzione. In paesi come l‘Italia, la Francia, la Svizzera, la Cina o l’Australia l’aspettativa di vita è sugli 82 anni (nel Principato di Monaco 90!); per una bambina nata nel Ciad o in Sud-Africa 49. Negli Stati Uniti vi sono circa 12 anni di differenza in più fra l‘aspettativa di vita dei ricchi e quella dei poveri. In Italia la lunghezza della vita è aumentata di ben 13 anni dal dopoguerra a oggi. Si potrebbe continuare ma, si sa, le statistiche contano fin ad un certo punto. Però la vecchiaia è una questione sociale, non solo personale.

Ci si può complimentare con la ultracenenaria di Pallanza, ma bisogna dire, anche, che per fortuna come lei ce ne sono poche. E che sarebbe oltremodo opportuno che l’attuale speranza di vita nei paesi benestanti si fermasse per lo meno dove siamo arrivati. Naturalmente anche all’interno di un paese ci sono le diferenze che ben conosciamo.

Ma non c’è alcun vantaggio nel prolungare la vita degli anziani, tanto più quando diventano non autosufficienti. Si ha un bel dire che gli anziani non sono un problema ma una risorsa (perché, ad esempio, accompagnano i bambini alle scuole), in realtà nella gran parte dei casi diventano un problema, per le rette da pagare quando è necessario il ricovero in un istituto, un problema se restano a casa, ma necessitano di una o due badanti. Non mancano le tensioni tra i figli per concordare i turni di assistenza e i sensi di colpa di chi non può fare la sua parte.

L’allungamento della vita mette inoltre in crisi il sistema pensionistico. In Italia il vero guaio è stato fatto negli anni ’60, quando ad esempio gli impiegati dello Stato (in primis gli insegnanti) potevano andare in pensione sui 40 anni di età avendo lavorato 15 anni, 6 mesi, 1 giorno(!). Poi c’è lo scandalo delle pensioni d’oro e dei vitalizi ai parlamentari, ma in ogni caso se la vita media si allunga vuol dire che l’Inps dovrà pagare la pensione ai singoli per 10-15 anni in più di quanto succedeva per i nostri genitori. Mentre i nostri figli devono farsi una pensione privata.

Questo ragionamento è indubbiamente un po’ cinico, ma come evitarlo quando si legge di alcuni scienziati e ricercatori che stanno sperimentando (per ora sui topi) l’effetto di sostanze predisposte per “invertire l’invecchiamento”? Sul topo funziona, da vecchio e grigio torna arzillo. Chissà se un domani un sessantino (per dirla con Camilleri) tornerà ventenne di belle speranze?

Se io sono cinico, questi sono presi dal delirio di onnipotenza (la pillola dell’eterna giovinezza non è una novità). Comunque stiamo tranquilli, non è roba per le nostre tasche. Sembra che ci voglia mezzo grammo di pillola per ogni chilo di peso corporeo e ogni pillola costa sui 1500 dollari. Morale, una persona sui 70 chili se la caverebbe con 30 mila euro al dì. Però magari l’Alzheimer verrebbe un po’ più tardi.

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