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Se la violenza contro le donne è trendy

179 donne uccise in Italia nel 2013, il 14% in più rispetto al 2012, 122 i femminicidi consumati in un contesto familiare o affettivo (7 casi su 10); se si tratta di matricidi, il 91,7% è per mano di figli maschi (dati Eurispes 2013). Si uccide con un’arma da taglio, magari un coltello trovato in cucina (sono 34 i casi del genere) oppure a mani nude (33 omicidi), meno usate le armi da sparo (24 episodi) ma c’è sempre il corpo contundente (11), 5 casi di donne arse vive, ed una che è stata avvelenata. Non mancano dettagli sull’età delle donne assassinate, la loro condizione sociale, famigliare, di provenienza: se si ammazza di più al nord o al sud (nord batte sud), se le donne muoiono subito, se avevano denunciato, se il femminicidio avviene in presenza dei bambini: nessun dettaglio escluso, basta fare un giro veloce sul web. Si moltiplicano le indagini, i dossier, la raccolta dei dati a campione, niente deve rimanere insondato. Oggi, giornata nazionale contro la violenza delle donne, sappiamo che “un omicidio su tre è rosa” (!). Conosciamo tutti i numeri e non cambia niente.

Oggi penso che la violenza contro le donne sia diventato un tema molto trendy: c’è la giornata nazionale, si moltiplicano le iniziative, i dibattiti televisivi, le conferenze, i libri testimonianza, ci sono marchi di biancheria intima che fanno pubblicità “contro” (ma che significherà poi, in concreto: che non vendono agli uomini violenti?), campagne istituzionali e manifesti sui tram che mostrano donne negli angoli e piene di lividi, maratone sui tacchi, posti vuoti e scarpe rosse, addirittura una statua hanno fatto, la “Violata”, ad Ancona: rappresenta una donna provocante con i vestiti strappati, più ammiccamento per voyueristi morbosi che denuncia. E intanto un’altra ricerca Ipsos, appena uscita, ci dice che nell’immaginario collettivo degli uomini le donne sognano il matrimonio, si realizzano solo come madri (un uomo su tre) e per loro è più facile “fare sacrifici” (un uomo su sette). Ancora troppi indulgono nella convinzione che di fronte a un tradimento la reazione violenta è giustificata, così come a volte si può uccidere per “troppo amore” o che i vestiti succinti possono provocare l’aggressione sessuale. Strano? Non troppo, se si considera quanto i giornali parlino quasi sempre di “raptus della gelosia” di fronte a un femminicidio, se nelle scuole ancora oggi (forse ancora più di quarant’anni fa) c’è un’educazione che spinge le bambine a stare composte e ad aspirare a un fantasmatico futuro da “principessa” (ci sono anche le scuole per diventarlo, seminari per imparare a “comportarsi” e ad essere “sempre in ordine”), mentre i maschi sono incoraggiati alla sfrenatezza e all’uso dell’ingegno.

La violenza contro le donne è trendy quando diventa appannaggio del potere, che se ne serve per darsi una spolverata di politically correct ma non mette mano agli strumenti politici per cambiare le cose e blocca l’iter della legge sull’educazione sentimentale, lascia che il diritto all’aborto sia impraticabile, mentre circa 350 centri antiviolenza non hanno ancora visto un euro dei 17 milioni previsti per il biennio 2013/14 dalla legge 119, quella appunto sul “femminicidio”. Tutti si arrangiano con finanziamenti privati e donazioni, se addirittura Maria Rosa Lotti dello storico centro Le Onde di Palermo confessa al Corriere della Sera che sopravvivono è grazie (anche) al contributo dell’otto per mille della Chiesa valdese. La campagna contro la violenza sulle donne mi ricorda certo clamore sulla mafia e l’antimafia: c’è chi lavora davvero sul territorio e c’è chi se ne serve come una maschera utile ad aprire tutte le porte. Ma come nel caso della mafia, il punto non è punire ma destrutturare la cultura in cui crescono i comportamenti aggressivi, riconoscere e cambiare quello che di strutturalmente violento c’è nel nostro modo di vivere e di relazionarci con gli altri. E per questo ci vogliono risorse, consapevolezza nelle istituzioni, progetti sociali. La violenza sulle donne non è una faccenda da talk show, è una questione politica.