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Accadde oggi, 24 novembre

A quindici anni ribelli lo si è per forza, troppa vita spinge nelle vene, troppa voglia di dare corpo ai sogni ed essere diversi. Lea, poi, ribelle lo era di natura. Sua sorella Marisa la ricorda così: bella, sveglia, inarrestabile. Ma essere adolescenti a Petilia Policastro, piccolo comune in provincia di Crotone, non è semplice, soprattutto se ti chiami Garofalo e sei figlia e sorella di boss dell’ndrangheta. Così ti pare che fare la fuitina con il tuo ragazzo e scappartene al nord sia una buona idea, forse anche una cosa romantica, non importa se finisci in un caseggiato fatiscente alla periferia di Milano e lui è Carlo Cosco, legato a filo doppio con gli affari di tuo fratello Floriano. A diciassette anni nasce una bambina, Denise, e sembra niente ma la cronaca recente dice che per le donne di ‘ndrangheta, per alcune più forti e tenaci – da Giusy Pesce a Maria Stefanelli o Maria Antonietta Cacciola – i figli sono la molla per cangiari e rovesciare tutto, scardinare il sistema familista per eccellenza, sgusciare via dalla tenaglia di morte che vuole che tutto continui a ripetersi senza fine. La ragazzina ribelle che ha consegnato armi e visto tagliare cocaina, quando il compagno viene arrestato prende la piccola Denise e se ne va.

Ma non sono porte che si riescono a chiudere, quelle. Non è che puoi lasciare impunemente il tuo uomo in galera, ci sono codici non scritti che ti marcano il passo, guai sgarrare. Nel 2002 Lea entra nel programma di protezione come testimone di giustizia e comincia la vita da raminga in fuga da una città all’altra, con gli assegni che arrivano in ritardo, il lavoro che non c’è, Cosco che ha giurato di ritrovarle perché sono roba sua. Il fratello Floriano viene ammazzato, le mandano un killer travestito da idraulico, lei riesce a metterlo in fuga. Dorme con un coltello sotto il cuscino. Nel 2009 accetta di incontrare Cosco con la figlia per parlare del futuro di Denise: con lei si sente al sicuro, e poi sono a Milano, mica in Calabria, non succederà niente.

Il 24 novembre l’ex convivente la carica in un furgone mentre la figlia è dai parenti; tutto è organizzato da tempo. La si penserà sciolta nell’acido fino al recente ritrovamento dei resti: un chilo e trecento grammi, 2800 frammenti d’osso. Carlo Cosco è stato condannato all’ergastolo in primo e secondo grado per l’uccisione di Lea, madre di sua figlia, la ragazza ribelle che ha mostrato il lato scoperto dell’ndrangheta.

Oggi Lea avrebbe quarant’anni. Sua figlia continua a vivere nascosta e non cede, principale testimone d’accusa contro il padre e i suoi complici.

Sognava ‘a libertà, sognau l’Australia/A vita po’ cangiara, a cangerò!
(Francesca Prestia, “La ballata di Lea”)

Foto via il Fatto Quotidiano