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La Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza compie 25 anni

Il 20 novembre 1989 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite approvava la Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Da subito in prima linea nella promozione del trattato c’è l’Unicef (Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia), fondato nel 1946 per aiutare i bambini vittime della II Guerra mondiale, il cui mandato è di tutelare e promuovere i diritti di bambini, bambine e adolescenti (0-18 anni) in tutto il mondo, nonché di contribuire al miglioramento delle loro condizioni di vita.

In occasione dei 25 anni dell’approvazione della Convenzione Onu, il Comitato italiano per l’Unicef ha presentato il rapporto «25 anni di progressi per l’infanzia e l’adolescenza». Ne abbiamo parlato con Andrea Iacomini, portavoce di Unicef-Italia.

La Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza è il trattato sui diritti umani maggiormente ratificato nella storia. Cosa ha rappresentato questo documento?

La Convenzione enuncia per la prima volta i diritti fondamentali che devono essere riconosciuti e garantiti a tutti i bambini e a tutte le bambine del mondo. Inoltre esso vincola a livello internazionale gli Stati che lo hanno ratificato (ben 194, tranne gli Stati Uniti e la Somalia) a presentare dei rapporti periodici sull’attuazione dei diritti dei bambini sul proprio territorio. Questo ha consentito alle Nazioni Unite di monitorare e di verificare di volta in volta l’operato di ciascun Stato. Vorrei aggiungere, però, che se è vero che si tratta del trattato più ratificato della storia è anche quello più violato. Quando consideriamo i minori non accompagnati e i bambini che vivono in situazioni di povertà nel nostro paese, o anche i bambini colpiti nei conflitti in Siria, nelle guerre intestine della Repubblica Centroafricana, nel Sud Sudan, quando pensiamo ai bambini soldato arruolati nelle file delle piccole organizzazione che si contendono il potere in Africa, ci rendiamo conto che la Convenzione è ancora troppe volte violata.

Ma rispetto a 25 anni fa, il mondo è un posto migliore per i bambini e gli adolescenti?

Sicuramente sono stati fatti grossi passi in avanti: ad esempio, la riduzione della mortalità infantile, il calo del numero dei bambini privi di accesso alla scuola primaria e di quelli coinvolti nel lavoro minorile, la diminuzione delle bimbe vittime delle mutilazioni genitali, ma ancora tanto lavoro c’è da fare. Ci sono 3 milioni di persone sfollate in Siria, a causa della guerra, di cui 1 milione e mezzo sono bambini; ci sono ancora migliaia di bambini malnutriti in Africa; circa duecentomila sono i bambini soldato; trenta milioni sono i bimbi che non hanno potuto cominciare il primo giorno di scuola perché colpiti dai conflitti: la verità, dunque, è che il diritto fondamentale all’istruzione è ancora drammaticamente violato, un diritto per il quale si è battuta Malala Yousafzai, ragazzina pakistana che ha ricevuto quest’anno il premio Nobel della pace.

Guardiamo ora più nello specifico l’Italia. Il nostro è un paese che ha a cuore i suoi bambini?

Purtroppo il nostro paese non ha fatto grandi passi avanti. Oggi la povertà in Italia aumenta: il 17% dei bambini vivono in condizioni di povertà relativa, abbiamo un alto tasso di Neet, cioè di ragazzi che non vanno a scuola, non studiano, non frequentano corsi di formazione. Pensavamo che il nostro paese avesse fatto passi avanti da quando l’Unicef fu impegnato nei primi decenni del dopoguerra a dare aiuto ai paesi colpiti dal conflitto che distrusse l’Europa. Oggi purtroppo, come 50 anni fa, ci ritroviamo a dover parlare di un’emergenza che riguarda i paesi europei come l’Italia, la Grecia, la Spagna che, nella grave crisi economica che stanno vivendo, hanno un elemento di grande debolezza: la condizione in cui versa l’infanzia.

Su quali fronti è impegnato oggi l’Unicef Italia?

Per questo anniversario siamo impegnati nella promozione del film documentario del giovane regista romano, Nicola Campiotti, intitolato «Sarà un paese», che verrà proiettato stasera al Cinema Barberini di Roma. Partendo dalla domanda “come racconteresti l’Italia ad un bambino”, noi vorremmo poter narrare un paese che integra e non esclude, un paese che ha ama e non odia, un paese che è solidale, ecco questo è un po’ il messaggio che impegna l’Unicef Italia nella giornata di oggi. In generale, poi, siamo impegnati nelle attività di raccolta fondi per le grandi emergenze del momento, penso alla Siria, all’Africa Centrale, al Sud Sudan, un’attività che vede impegnati i nostri volontari (circa 4000) in tutte le regioni del nostro paese.

Cosa la scoraggia di più e cosa, invece, l’entusiasma di più del suo lavoro?

Mi scoraggia e al tempo stesso mi incoraggia quello vedo nel corso dei miei viaggi. Sono stato in Medio Oriente e ho visitato i campi profughi in Giordania, in Iraq, in Libano che accolgono i tanti bimbi fuggiti dalla guerra in Siria. Sono stato in Africa e ho visto le condizioni difficili di vita in cui versano i bambini della Sierra Leone, del Ghana. Ecco, girare tra le tende di un campo profughi che ospita 300 mila persone la cui metà sono bambini, vedere questa umanità dimenticata dal mondo costretta a dormire sotto una tenda d’inverno e d’estate, è qualcosa di profondamente ingiusto che mi scoraggia. Nello stesso tempo, però, mi entusiasma vedere come, proprio in questi paesi, l’Unicef svolga un grandissimo lavoro di aiuto. È in quei momenti che mi accorgo dell’importanza della mia attività di portavoce, che è quella di testimoniare con il mio racconto quello che gli operatori dell’Unicef fanno per salvare le vite di questi bambini.

Foto: “Refugee children from Syria at a clinic in Ramtha, northern Jordan (9613477263)” di DFID – UK Department for International DevelopmentRefugee children from Syria at a clinic in Ramtha, northern Jordan Uploaded by russavia. Con licenza CC BY 2.0 tramite Wikimedia Commons.