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La scuola è buona se è laica

«Il contrasto alle discriminazioni, di cui l’omofobia è uno degli aspetti non secondari, si fa anche e soprattutto a scuola. E’ fra i banchi che deve partire l’educazione all’alterità attraverso percorsi didattici e progetti condivisi da insegnanti, famiglie, studenti. Gli istituti scolastici rappresentano oggi un presidio determinante per la prevenzione di ogni forma di bullismo e il Ministero è al loro fianco in questa missione»: questo è il testo del comunicato della ministra dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Stefania Giannini in occasione della Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia del 17 maggio scorso.

A fronte però del susseguirsi di episodi discriminanti e persecutori nei confronti di docenti e studenti omosessuali nel corso degli ultimi mesi, l’intervento della ministra deve passare dalle parole ai fatti: riapertura immediata dei percorsi di formazione dedicati ai docenti sul tema della prevenzione e del contrasto dell’omofobia e dei suoi legami con bullismo, procedendo con la distribuzione nelle scuole primarie e secondarie delle pubblicazioni “Educare alla diversità a scuola”; ferma condanna degli interventi che violino, nell’ambito della scuola pubblica statale, il dettato costituzionale, mettendo bene in chiaro che neppure all’interno delle ore d’insegnamento confessionale cattolico possono essere veicolati messaggi omofobici o comportamenti discriminanti; attuazione dei controlli sui requisiti di parità laddove il progetto educativo della scuola privata, a cui genitori e docenti devono aderire, preveda discriminazioni anticostituzionali nell’assunzione del personale docente.

«Prof accusa il Sacro Cuore: “Licenziata perché sono lesbica”», docente della scuola paritaria di Trento (1 luglio 2014); «Io, insegnante gay di una scuola cattolica, metto la maschera e vado a lavorare», insegnante di tecnologia in una scuola paritaria cattolica di Roma (23 luglio); «Insegnante gay toglie il crocifisso dall’aula: “La Chiesa ci calpesta”», Davide Zotti, insegnante del liceo Dante-Carducci di Trieste (23 ottobre); «Contestato perché gay, insegnante lascia l’incarico», docente titolare di progetti formativi presso l’Istituto comprensivo Dalmazio Birago, Passignano, Perugia (23 ottobre); «Dall’omosessualità si può guarire», insegnante di religione cattolica all’Istituto superiore Pinifarina di Moncalieri, Torino (31 ottobre); «Ormoni ai bambini a scuola perché l’Onu li vuole gay», Cristina Zaccanti, docente di italiano e storia presso il liceo Botta di Ivrea, Torino (5 novembre); «Prof insulta e picchia studente: “Essere gay è una brutta malattia”», un professore di una scuola superiore della provincia di Perugia (16 novembre): notizie come queste non possono passare inosservate al ministero dell’Istruzione. ​

Il fatto poi che la diocesi di Milano chieda scusa in merito all’inappropriata formulazione della comunicazione inviata agli insegnanti di religione in cui venivano incaricati di “spiare” l’orientamento delle scuole sul tema dell’omosessualità, chiarendo che l’intento originario «era esclusivamente conoscere il loro bisogno di adeguata formazione per presentare, dentro la società plurale, la visione cristiana della sessualità in modo corretto e rispettoso di tutti» (don Rota, responsabile del Servizio Insegnamento Religione Cattolica, arcidiocesi di Milano, 13 novembre), rappresenta un rimedio peggiore del male.

Innanzitutto la visione di Rota sul tema della sessualità non rappresenta quella “cristiana”, bensì soltanto quella cattolica, tanto per chiarire bene il concetto dell’universalità del sapere confessionale delle diocesi.

Inoltre sui temi dell’orientamento sessuale e del bullismo omofobico, a seguito del programma promosso dal Consiglio d’Europa “Combattere le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere”, è stata elaborata la Strategia Nazionale per la prevenzione e il contrasto di queste discriminazioni, predisposta e coordinata dall’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (Unar), che fa parte del Dipartimento delle Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, strategia in cui rientra il percorso di formazione dei docenti bloccato nella primavera di quest’anno dall’intervento della Cei.

Proporre ai docenti le posizioni della comunità scientifica nazionale e internazionale diventa quindi, oggi, un compito urgente cui la ministra Giannini deve rispondere estendendo la formazione anche agli insegnanti di religione cattolica, poiché assumono più ruoli nella scuola pubblica, occupando incarichi che li mettono in contatto con tutta la popolazione scolastica (supplenze brevi, funzioni strumentali e di docente vicario o fiduciario), oltre ad avere la possibilità (privilegio?) di continuare a lavorare nella scuola qualora decadano i requisiti richiesti dal vescovo per l’abilitazione all’insegnamento dell’Irc.

Insomma: la scuola laica e pluralista diventa buona solo se alle parole seguono i fatti.

Foto via Flickr