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«Fuga d’affetto», cortometraggio realizzato a Parma da detenuti e studenti

Il cortometraggio «Fuga d’affetto» è il prodotto finale del laboratorio «Fare cinema in carcere… libera la bellezza», nato dalla collaborazione della coop. sociale Sirio e l’ass. culturale Kinoki con il Liceo artistico Paolo Toschi di Parma. Il laboratorio ha visto la partecipazione di 25 detenuti nelle sezioni di Alta Sicurezza 1 e 3 degli Istituti Penitenziari di Parma, condannati a pene ostative, esclusi cioè dalle misure alternative al carcere, che da giugno 2013 hanno seguito lezioni e seminari sul linguaggio cinematografico e televisivo, fino alla scrittura, dopo sei mesi, del soggetto. Il video è stato poi realizzato dai ragazzi del liceo artistico Toschi che da febbraio a luglio 2014 hanno provveduto a regia e riprese insieme all’attrice Franca Tragni, coordinati da Michele Gennari e Mario Ponzi. Il corto è stato ufficialmente presentato a Parma a fine ottobre.

Grazie alla mediazione di Giuseppe La Pietra, responsabile del progetto per la coop. Sirio e membro della Commissione «carceri e giustizia» della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei), abbiamo potuto rivolgere alcune domande a Antonio Di Girgenti, uno dei detenuti che ha partecipato al laboratorio «Fare cinema in carcere… libera la bellezza».

Come è nato il soggetto di “Fuga d’affetto”?

Tutto parte da una serie di incontri, tenutisi in carcere, tra noi detenuti, il responsabile del progetto, Giuseppe La Pietra, i coordinatori del progetto, Mario Ponzi e Michele Gennari e la psicologa del gruppo, la dr.ssa Silvia Moruzzi. A ciascuno di noi è stato chiesto di individuare un tema “scottante” che riguardi il carcere, sul quale avanzare delle proposte concrete o, per lo meno, provocazioni costruttive. No lamentele, ma riflessioni puntuali e volte al miglioramento. Una consultazione che – allorché realizzata – auspico tocchi oggi le coscienze collettive: coinvolga le scuole, gli insegnanti, il personale non docente, le chiese tutte, i ragazzi ed i loro genitori per uno spazio di commento che spero sia utilizzato con lo stesso spirito che ha accompagnato noi: “non una vetrina di sfogo, bensì un’assemblea di confronto e progettualità”.

Perché questo titolo?

Il titolo non nasce per caso. Completata la sceneggiatura e le riprese abbiamo optato – avendo trattato il tema “ergastolo ostativo” – per un titolo che coinvolgesse tutti i detenuti e famiglie, operatori e società. Tutti noi abbiamo mogli, madri, figli, nipoti che soffrono e condividono la nostra stessa condizione. Quindi ognuno, per motivi affettivi o per una semplice questione di dignità, ha voluto risollevare la propria condizione di prigioniero con una “fuga d’affetto”.

Come è andata l’esperienza del laboratorio? Ci sono state delle difficoltà?

È stato un laboratorio di idee all’interno del quale ci siamo confrontati chiedendo consigli e proponendo dibattiti. Il difficile è stato trovare un soggetto adeguato. Era la prima volta che affrontavamo un progetto del genere, quindi, il primo ostacolo era l’inesperienza. Ma ritengo che neanche per Giuseppe, Michele, Mario e Silvia sia stato facile. I detenuti studenti sono degli interlocutori del tutto speciali: siamo molto critici con noi stessi e i meno facili alla seduzione. Perciò abbiamo osservato, discusso, avanzato critiche, proposto idee, sollevato dubbi ed, infine, nella quantità di scritti prodotti, molti sono stati vagliati, selezionati e riorganizzati per la stesura della sceneggiatura definitiva: operazione, quest’ultima, affidata all’abile esperienza di Mario Ponzi e Michele Gennari. Agli studenti del Liceo artistico Toschi, infine, è stato dato il difficile compito di tradurre in immagini la sceneggiatura.

Cosa ha provato quando ha visto il film terminato?

È stata una bella sensazione. Quello che avevamo contribuito a realizzare era il nostro messaggio per la collettività. Ed era pronto! Quell’idea partita come un semplice laboratorio di idee si era trasformata in immagini. Un lavoro che ci aveva accompagnato nella realizzazione di qualcosa che era parte di noi; rappresentava ciò che eravamo, la nostra storia, la nostra quotidianità, i nostri sogni.

Il progetto è titolato «Fare cinema in carcere… libera la bellezza». C’è posto per la bellezza in un luogo come il carcere?

Io che affronto la quotidianità rinchiuso all’interno di una cella 20 ore su 24, vedo la bellezza come il bene da custodire. A volte la bellezza definisce pensieri diversi, altre volte lascia uno squarcio quando la vita incontra la sofferenza. Poi, un incontro cambia il punto di vista delle cose e affronti la quotidianità in maniera differente. Incroci persone che ti offrono una stretta di mano sincera e ritrovi la voglia di raccontare e di creare l’immagine della tua storia. Allora realizzi ciò che sei, mostri il valore del tuo lavoro e speri, attraverso di esso, di ritrovare la bellezza. Penso che questo possa essere uno dei messaggi nati dal lavoro su Fuga d’affetto.

Qual è l’urgenza che in questo momento porrebbe alle agende dei politici e delle istituzioni?

Porrei la questione del 4 bis della legge n. 354 del 1975 dell’ordinamento penitenziario. Si tratta dell’articolo che ha di fatto reso ostativo l’ergastolo, decretando, in tal modo, la condanna a morte di 1540 persone. È un articolo che viola i diritti fondamentali dell’art. 27 della Costituzione, il quale recita al comma 3: «Le pene devo tendere alla rieducazione del condannato». Chiederei alla politica meno ipocrisia e più realismo. Siamo un popolo molto sensibile, capace di denunciare, con civile veemenza, ogni oltraggio compiuto dalla spietata dittatura siriana su corpi di donne e uomini, ma poi orientiamo la pena dei nostri condannati al solo principio retributivo, creando senza alcun supporto normativo uno status di detenuto pericoloso per l’intero rapporto esecutivo, a prescindere dal reato commesso. Per evitare tale iniqua conseguenza si dovrebbe modificare l’articolo 4 bis nella parte in cui vieta l’applicazione delle misure alternative al carcere. La finalità rieducativa della pena esige che quest’ultima sia adeguata alla stregua dei risultati del trattamento penitenziario e non alla morte sociale e fisica dell’individuo.

È possibile ricevere Fuga d’affetto scrivendo a risorseumane@siriocoop.it, oppure telefonando al 345-2493690.