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Anche Il Cec interviene sulle violenze in Pakistan

Anche il Consiglio ecumenico della chiese (Cec) prende posizione a seguito dei continui episodi di violenza ai danni dei cristiani in Pakistan. E lo fa con gli interventi autorevoli dei suoi leader. Il primo a prendere la parola è Olav Fykse Tveit, segretario generale del Cec, chiamando in causa direttamente il governo centrale del Paese: «La protezione e la sicurezza di tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro appartenenza religiosa, è una delle responsabilità fondamentali di uno Stato, il Pakistan in questo caso. Stesso discorso valga per il rispetto dei diritti umani e per porre fine ai regolamenti di conti extragiudiziali, prassi comune purtroppo in troppe parti del mondo. Per promuovere la tolleranza, l’armonia religiosa e la tutela dei diritti dei cristiani e delle altre minoranze religiose in Pakistan c’è una sola via: assicurare che la giustizia faccia il proprio dovere e non sia piegata da dettami fondamentalisti».

Peter Prove, direttore degli affari esteri del Cec insiste sulle responsabilità di chi a Islamabad detiene il potere: «La barbara uccisione di Shama Bibi e Shehzad Masih, accusati di blasfemia e arsi vivi in una fornace sembra fornire l’ennesimo tragico esempio di come le leggi a tema religioso possono diventare pretesto per risolvere questioni personali. Ciò perché secondo quanto svelato da alcuni media, all’origine della violenza ci sarebbe una disputa monetaria fra la coppia e il proprio padrone, proprietario di una piccola ditta di fabbricazione di mattoni. L’accusa di blasfemia in pratica non sarebbe altro che un facile pretesto utilizzato per coprire altre motivazioni. Chi usa questa accusa sa di trovare un terreno fertile e una sostanziale impunità di fondo, per questo la legge va modificata sostanzialmente».

Questo ultimo caso, come quello recentissimo di Asia Bibi, altra donna condannata a morte per presunta offesa al Corano non fa che testimoniare il pericolo che si trovano ad affrontare ogni giorno gli appartenenti a minoranze religiose in Pakistan. Conclude ancora Prove: “La nostra speranza è che la forte reazione della popolazione, anche non cristiana, e la più costante attenzione dei media internazionali portino il governo ad un serio riesame delle leggi in materia. Già nel 2009 il Cec aveva preso posizione sulle condizioni delle minoranze nel grande Stato mediorientale, ma poco è cambiato. Ora bisogna insistere con maggiore determinazione».

Foto: www.nev.it