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Che la pietà non vi rimanga in tasca

Oggi, che non c’è più il tempo e l’abitudine di uscire sulla piazza all’ora del caffè per parlare dei fatti del giorno, è interessante, più che leggere le notizie, leggere i commenti. E’ un po’ come andare al mercato e sentire quel che pensa la gente. Negli ultimi due giorni ci si è affannati a discutere di giustizia, di responsabilità dei magistrati, di magistratura politica. Ci si è interrogati su come sia possibile che un giovane preso in custodia dalle forze dello Stato possa essere lasciato morire senza che ci sia, apparentemente, un responsabile. I familiari chiederanno la riapertura delle indagini. I giudici che hanno scritto la sentenza non possono e non devono essere confusi con la magistratura inquirente.

Aspetteremo per conoscere la verità. Ma in mezzo a questi ragionamenti, nella piazza mediatica, affollata e rancorosa del nostro paese alcune frasi emergono. Sopra le altre: «la famiglia avrebbe dovuto preoccuparsi prima non adesso che è tardi», «era uno che spacciava e vendeva morte», «adesso si va in appello, tanto il conto lo paghiamo noi coi soldi pubblici», «era un drogato sarebbe morto comunque». Sì, Stefano Cucchi era un drogato, uno a cui De Andrè nel 1969, ben prima che l’eroina si diffondesse in tutta la penisola, mette in bocca queste parole: «Quando scadrà l’affitto di questo corpo idiota; allora avrò il mio premio come una buona nota; mi citeran di monito a chi crede sia bello giocherellare a palla con il proprio cervello; cercando di lanciarlo oltre il confine stabilito che qualcuno ha tracciato ai bordi dell’infinito; come potrò dire a mia madre che ho paura ?1». Ma di fronte al dolore, all’angoscia, al dramma di una vita, la piazza non vuole ascoltare. La piazza guarda al proprio salvadanaio, la piazza ha paura di fare la stessa fine e si rassicura dicendo che le proprie sono famiglie dove certe cose non succedono. La piazza chiede vendetta contro i giudici, che sono sempre cattivi; invoca la responsabilità civile, dimenticando che chi giudica, per fortuna, è diverso da chi fa le indagini e formula l’accusa. Ma la piazza ha già giudicato. E’ come nei film quando un poliziotto dice «finchè si uccidono tra di loro», riferendosi ad una sparatoria tra bande rivali.

«Anche tu, spacciavi, anche tu hai, forse, venduto morte, anche la tua famiglia è solo attaccata ai soldi e non si è preoccupata di te. E allora è giusto, è normale che tu abbia fatto quella fine». Questa è la vera sentenza che la piazza del nostro paese ci consegna. Il processo andrà avanti, forse sapremo la verità su come son andati i fatti, ma oggi il nostro paese è sotto processo. Perché non ha saputo esprimere pietà, perché non ha saputo annunciare la salvezza a Stefano Cucchi e ai suoi familiari, perché ha pensato di ergersi a giudice non su un episodio grave, bensì sulla loro intera esistenza e al di sopra di Dio e della Repubblica italiana ha pensato di poter dire che per alcuni le morti sono meno gravi, sono quello che si sono andati a cercare. A noi sono dedicate queste parole “Uomini cui pietà non convien sempre mal accettando il destino comune, andate, nelle sere di novembre a spiar delle stelle al fioco lume, la morte e il vento in mezzo ai camposanti, muover le tombe e metterle vicine come fossero tessere giganti di un dòmino che non avrai mai fine. Uomini, poiché all’ultimo minuto non vi assalga il rimorso ormai tardivo per non aver pietà giammai avuto e non diventi rantolo il respiro: sappiate che la morte vi sorveglia, gioir nei prati o fra i muri di calce, come crescere il gran guard il villano finché non sia maturo per la falce.2

1F. De André “ Cantico dei drogati” tratto da LP Tutti morimmo a stento -1969-
2F. De André “Corale” tratto da LP Tutti morimmo a stento -1969-   
Foto: “El sueño de la razón produce monstruos” di Francisco Goyahttp://www.cervantesvirtual.com/servlet/SirveObras/01593307546704995222257/ima0084.htm. Con licenza Public domain tramite Wikimedia Commons.