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Message in a bottle

I social sono un luogo strano, un mare magnum dove si trova di tutto: imbarcazioni, pesci, relitti e sirene. A volte si pescano anche messaggi dentro la bottiglia che non troveremmo mai nel mondo ‘reale’. Una sera mentre ero su Facebook mi contatta uno sconosciuto: sa che sono pastore, ha trovato in rete un mio vecchio articolo su sessualità e Antico Testamento e vorrebbe avermi fra i suoi contatti. In realtà capisco ben presto che ha bisogno di parlare: è un ragazzo gay e proviene da una chiesa evangelica che lo ha respinto per il suo orientamento sessuale e gli preme molto confrontarsi con un pastore valdese su questo punto. Mi racconta che era fidanzato con un coetaneo ma che, una volta venuta alla luce, la relazione è stata stigmatizzata all’interno della comunità, a tal punto che il suo compagno si è ‘redento’ e poi ‘convertito’ all’eterosessualità. Mentre parliamo, sempre via chat, capisco che in lui l’estraneità nei confronti di questa chiesa è cresciuta parallelamente allo sdegno per il giudizio ricevuto; ed eppure quello che lui desidera non è tanto una denuncia quanto una parola di accoglienza, perché la sofferenza e il dubbio di essere nell’errore comunque sono forti. Lo rassicuro e gli dico che il Signore lo ama, indipendentemente dalle sue scelte sessuali, e poi lo invito ad andare nella chiesa riformata della sua città. Il messaggio in bottiglia è arrivato, più o meno casualmente, a destinazione.

Internet serve a evangelizzare? Certamente contribuisce a fornire gli strumenti perché questo possa avvenire e si serve di canali in cui è preservata la discrezione e l’intimità e che, a volte, possono a chi li usa apparire nella loro incorporeità anche più liberanti del confronto faccia-a-faccia. Di fatto possono essere veicoli della Parola che – si sa – soffia dove vuole, anche sul mare magnum di Internet.

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