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I paradossi creativi di Kierkegaard

Il numero di settembre di NotaBene – Quaderni di studi kierkegaardiani (il melangolo, pp. 327, euro 30,00) raccoglie i contributi al convegno promosso nel dicembre 2013 dall’Università Ca’ Foscari di Venezia, in collaborazione con la Società italiana per gli Studi kierkegaardiani, in occasione del duecentesimo anniversario della nascita del pensatore (5 maggio 1813). Da qui il titolo della monografia, curata da Isabella Adinolfi, Roberto Garaventa, Laura Liva ed Ettore Rocca: Kierkegaard duecento anni dopo. Impossibile condensare in poche righe i mille spunti e approfondimenti offerti, volti fra l’altro a porre in relazione il filosofo danese con altri autori e altre prospettive. Proviamo comunque a rincorrere qualche suggestione.

Proprio Garaventa nota come il paradosso sia in Kierkegaard un concetto centrale. A esempio, paradossale è «il tentativo apologetico di dimostrare l’esistenza» di Dio. Se Dio non esiste, «non se ne può nemmeno dimostrare l’esistenza in modo logicamente ineccepibile, mentre, se Dio esiste, volerne dimostrare l’esistenza è una vera e propria “follia”». Paradossale è pure «il rapporto tra la beatitudine, che la salvezza offertaci da Cristo ci dona, e la sofferenza, che caratterizza ineluttabilmente l’esistenza cristiana». Da un lato la beatitudine è nel martirio, nella rinuncia, «nel dolore», dall’altro per Kierkegaard essa «sta nell’accettare provvidenzialisticamente l’esistenza per come “oggi” si presenta, senza lasciarsi sopraffare dalle angosce e dalle preoccupazioni quotidiane, e quindi anche nel godere delle piccole gioie e dei semplici piaceri della vita».

Umberto Regina, dal canto suo, sottolinea che nella prospettiva kierkegaardiana «augurare la fede significa desiderare per tutti gli uomini l’uguaglianza al vertice davanti a Dio, e desiderare ugualmente per tutti che questa fede sappia rendere tutti “più forti nell’agire nel presente”». E «chi intende aiutare a credere colui che ancora non crede dovrà tener fermo che nessuno, per quanto lui faccia, potrà mai dare la fede a un altro».

Giuseppe Cantillo, poi, evidenzia la presa di posizione di Kierkegaard dinanzi allo «scandalo» rappresentato dall’Uomo-Dio, da un singolo uomo, cioè, che si presenta come Dio e da un Dio che si abbassa a soffrire come un uomo umiliato. Scrive Kierkegaard: «La possibilità dello scandalo è una specie di bivio ovvero è ciò che pone davanti al bivio. Da questa possibilità si partono due vie, l’una porta allo scandalo e l’altra alla fede, ma non si giunge mai alla fede senza passare attraverso la possibilità dello scandalo». Già; il possibile. Sergio Fabio Berardini mostra come per l’autore danese tale ente non sia indifferente a ciascuno di noi, perché è ognuno di noi a evocarlo. Basti considerare la figura dell’innamorato melanconico, il quale «arde dal desiderio di conquistare la persona che ama; e tuttavia egli non agisce, non si adopera per realizzare questa possibilità. Egli teme di essere rifiutato; o magari teme addirittura di non essere rifiutato, tanto lo atterrisce il reale». Ecco la forza della possibilità, la sua realtà.

Come sostiene Laura Liva, poi, in Kierkegaard «il demoniaco è l’apparenza che vuole spacciarsi per l’essenza, è inganno», il quale non solo altera la realtà, «ma assume diverse forme». Del resto, tante sono le «maschere» indossate dal pensatore danese: «è difficile distinguere il filosofo dal teologo, lo psicologo dal romanziere, o dall’autore di pungenti articoli giornalistici». Sarebbe impossibile scorgere il «vero» Kierkegaard, in quanto «ciò presupporrebbe la possibilità di afferrare l’individuo dietro la maschera». Eppure si coglie l’esigenza di uscire dall’esteriorità vissuta come spazio chiuso e come inganno, al fine di «trovare un mondo che le dia un senso, un senso che sia per sé e forse anche per altri a un tempo».

Come non cogliere, inoltre, le corrispondenze fra Blaise Pascal e Kierkegaard? Giuseppe Fulvio Accardi fa notare «il luogo in cui s’incontra il pensiero» dei due: «la traduzione pratica della fede contro l’esteriorità vuota delle opere». E «la posizione di Kierkegaard appare essenzialmente luterana, basti pensare all’effetto “sonnifero” che per la fede avrebbero le opere e i sacramenti, qualora compiuti con lo scopo di condizionare» la volontà divina.

Foto: “1838 drawing of Kierkegaard” di Drawing by Niels Christian Kierkegaard. Etching by Knud Hendriksen. Scan by user. – Scan from the book “Smaa Biografier” by Th. Heltoft & Kr. Svane. Con licenza Public domain tramite Wikimedia Commons.