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Ripartire, dialogando

Il Sinodo dei vescovi sulla famiglia, annunciato come «storico», e in questi termini celebrato dai media nel corso del suo svolgimento, si è dunque concluso. I due aspetti più interessanti sembrano «in margine» al documento finale, più che nel testo stesso: la decisione di rendere noti gli esiti del voto sui singoli paragrafi e l’energico invito papale ad essere aperti alle «sorprese di Dio».

Il primo è un gesto di trasparenza, che dimostra serenità nella presa d’atto di un consistente dissenso su alcuni punti. Quanto all’invito, non vorrei esagerare nell’interpretazione. Francesco allude ovviamente alla possibile apertura di una discussione sulle note questioni: divorziati risposati, matrimoni civili, convivenze, atteggiamento nei confronti delle persone omosessuali. Il fatto che se ne parli come sorprese di Dio, colpisce. Finora, la linea era che queste domande fossero tipiche di quattro protestanti secolarizzati, moralmente inaffidabili e comunque in via di estinzione. Ora se le pongono anche altri e, secondo il papa, su invito non di Belzebù, bensì di Dio.

Detto questo, per il lettore «normale» la grande «sorpresa» è nominare i problemi come tali, cioè dire che esistono. La forma è talmente prudente da apparire, in più di un caso, esasperante, nel suo paternalismo magisteriale. Ma, anche così, non va bene a tutti. Sessantadue sinodali, ad esempio, non vogliono, a quanto pare, che le persone omosessuali siano «accolte con rispetto e delicatezza» (n. 55: l’espressione, peraltro, è tratta da un documento della Congregazione per la Dottrina della Fede, che non è una succursale dell’Arci Gay); il record dei dissensi (74 contro, 104 a favore) spetta al n. 52, relativo all’accesso all’eucaristia da parte di divorziati risposati. Il testo è tutto tranne che rivoluzionario, ma la sola menzione del tema, accompagnata da qualcosa di diverso da un semplice niet, basta a scatenare l’opposizione.

Che la chiesa di Roma vada con i piedi di piombo, non stupisce. Singolare, invece, è la reazione di alcuni organi di informazione. Mentre il direttore di Avvenire, nella rassegna stampa mattutina di Radio 3, presenta le notizie con molta precisione e misura, alcuni «laici» osservano che i vescovi sarebbero più audaci del Parlamento italiano, che ancora non ha prodotto una normativa sulle unioni civili. Come se l’inerzia, effettivamente scandalosa, del Parlamento non fosse legata anche alle pressioni della lobby clericale; e come se quanto, dalla legge sul divorzio in poi, si è comunque fatto, non fosse stato furiosamente osteggiato dalle gerarchie cattoliche. Le quali, secondo il Sinodo (n. 56), rifiutano «pressioni» «del tutto inaccettabili» in materia di omosessualità; esse stesse, però, non mancano di agitarsi se il sindaco di Roma registra matrimoni contratti all’estero tra persone dello stesso sesso. La Conferenza episcopale italiana e il Vicariato hanno tutto il diritto di protestare, ci mancherebbe: che però costoro siano, secondo l’informazione laica, gli audaci innovatori, appare ridicolo.

La verità è che la chiesa di Gesù Cristo, nella sua espressione protestante, si confronta con alcuni di questi temi (divorziati) da secoli e con altri (persone omosessuali, unioni civili) da decenni; lo fa per tentativi ed errori, discutendo anche aspramente, cercando di leggere la Bibbia nelle contraddizioni di un’esistenza umana sempre più complicata di quel che vorremmo. Roma ha finora, va ripetuto, calunniato questa ricerca come cedimento al libertinismo. Se ora cambiasse idea, non sarebbe troppo presto, ma si tratterebbe, comunque, di un passo avanti, che potrebbe permettere una discussione ecumenica su questi temi. Nessuno si illude di risolvere tutti i problemi; se non altro, però, si eviterebbe di celebrare come una nuova Pentecoste quello che è, semplicemente, un ritardo piuttosto clamoroso; e, a questo punto, ripartire. Dialogando, se lo si vuole.

Foto: “Su Santidad Papa Francisco” di Gabriel Andrés Trujillo EscobedoFlickr: Su Santidad Papa Francisco. Con licenza CC BY-SA 2.0 tramite Wikimedia Commons.