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Un calcio al razzismo

E’ probabilmente la prima squadra di questo genere ad essersi formata in Italia. Parliamo dell’Afro-Napoli United, team che unisce uomini con storie e provenienze profondamente diverse, accomunati dall’amore per il gioco del calcio, ma soprattutto dalla voglia di darlo ai pregiudizi, quel calcio. E bello forte.

Vincere non è il focus di questi ragazzi e dei loro dirigenti, ma emergere quello si. Nel senso di rendere noto alla gente comune e alle istituzioni quale sia la propria storia, siano essi africani, sudamericani, o disoccupati dei quartieri difficili di Napoli.

La burocrazia è sempre più lenta della vita reale per cui Antonio Gargiulo, infaticabile presidente e trascinatore della squadra, insieme col suo staff, ha dovuto creare due squadre: una riservata a coloro che sono in regola con permessi di soggiorno o status di rifugiato, ed una seconda iscritta a tornei amatoriali, per chi ancora costretto nel limbo. Neanche a correre dietro ad un pallone queste persone sono uguali per le leggi del bel Paese. Abbiamo intervistato proprio Antonio Gargiulo, impegnato nel dirigere cooperative sociali da molti anni, per farci raccontare la nascita di questo progetto.

Come è nata l’idea della squadra? Quando?

«L’Afro-Napoli United, squadra di calcio multietnica è nata con l’intento di adoperare il principio secondo il quale lo sport può e deve essere, oltre una semplice disciplina per allenare il fisico, anche un mezzo per insegnare valori sociali ed etici e un metodo per abbattere i tabù razziali. È nata nell’ottobre 2009, per iniziativa mia e dei senegalesi Sow Hamath e Watt Samba Babaly. Lavorando nel sociale da anni, mi ritrovavo molto spesso a giocare la classica partita di calcetto settimanale con amici italiani ma anche con tanti amici stranieri e così abbiamo deciso di creare una vera e propria squadra che avesse come obiettivo combattere la discriminazione e favorire la convivenza paritaria tra napoletani e migranti».

Chi gioca?

«I nostri ragazzi provengono da Senegal, Costa D’Avorio, Nigeria, Capo Verde, Niger, Tunisia. Negli ultimi anni si sono aggregati anche giovani provenienti dal Sudamerica e ovviamente non mancano i napoletani. La maggior parte di loro non ha ancora un’occupazione, c’è chi l’ha persa da poche settimane, chi fatica a parlare la nostra lingua e chi invece è perfettamente integrato nel tessuto sociale. Possiamo affermare di essere un gruppo abbastanza variegato».

Come siete stati accolti e ora come siete seguiti dalla popolazione?

«Siamo sempre stati ben accolti nella nostra città, fin dall’inizio. L’Afro-Napoli United è oggi diventata un punto di riferimento per qualsiasi evento o iniziativa in cui si promuove la lotta al razzismo e collabora costantemente con enti ed associazioni del terzo settore che lavorano nel campo dell’integrazione sociale e della lotta ad ogni forma di discriminazione. Vanta rapporti consolidati anche con la comunità senegalesi, capoverdiane e ivoriane, con il Consolato della Repubblica bolivariana del Venezuela e può contare su una folta schiera di tifosi che partecipano calorosamente sia alle partite in casa che fuori casa».

Stesso discorso per la politica e le amministrazioni: vi hanno appoggiato?

«Abbiamo sempre riscontrato interesse e apprezzamenti dal mondo della politica, ed abbiamo trovato disponibilità e collaborazione da parte del Comune di Napoli e della Lnd, la Lega nazionale di calcio dilettante Campania, soprattutto per quanto riguarda la problematica del tesseramento dei migranti, ma sempre nel rispetto delle normative vigenti. Purtroppo sono quasi sempre proprio queste ad essere discriminanti. Non abbiamo mai ricevuto contributi o fondi pubblici».

Quali le soddisfazioni maggiori? E le criticità maggiori?

«Le soddisfazioni maggiori sono le vittorie e i successi raggiunti sul campo ma ancora di più la gioia e le soddisfazioni che vivono i ragazzi della squadra sentendosi parte di un gruppo, ciascuno sa che può contare sugli altri, sa di avere un’opportunità, un momento di gloria e di riscatto, sa di potersi sentire parte attiva di questa società. Le criticità invece sono prevalentemente due: la prima è quando per problemi burocratici tanti ragazzi, che vivono da anni a Napoli, non possono giocare il campionato federale. Lo trovo assurdo e insostenibile proprio perché parliamo di calcio dilettantistico, dove non ci sono interessi economici, dove si gioca per passione, e tutti dovrebbero avere il diritto di poter partecipare a prescindere dalla propria provenienza, dal colore della pelle e dai pezzi di carta. Il secondo grosso problema è la carenza e l’inadeguatezza delle strutture sportive del territorio. I campi di calcio comunali sono veramente pochi e mal gestiti, quelli privati hanno come obiettivo solo il lucro e pertanto sono poco interessati ad ospitare una squadra che fa soprattutto aggregazione, in campo e sugli spalti, preferendo le scuole calcio che portano solo introiti (parecchi). Per questo motivo siamo “emigrati” allo stadio comunale di Mugnano».