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“Il cammino verso l’unità”

Si è aperta domenica scorsa, e proseguirà fino al 19 ottobre, l’Assemblea straordinaria del Sinodo dei vescovi cattolici sulla famiglia. Si tratta di un evento interno alla Chiesa cattolica, ma che le altre chiese seguono con interesse: intanto perché all’Assemblea partecipano otto «delegati fraterni» in rappresentanza delle varie confessioni cristiane; e poi perché i temi all’ordine del giorno – convivenze prematrimoniali, divorzio e nuove nozze, coppie di fatto (eterosessuali e omosessuali) – sono da tempo all’attenzione delle assemblee e dei sinodi delle chiese protestanti. Si tratta di problemi scottanti, che spesso dividono le chiese non solo tra di loro, ma anche all’interno di ciascuna confessione. Si può dire che, mediamente, nel campo dell’etica familiare e sessuale le chiese del protestantesimo storico – quelle più legate alla Riforma del XVI secolo – hanno una posizione aperta ai cambiamenti in atto nella società, attenta a non trasformare il messaggio evangelico della grazia in legalismo.

È naturale, quindi, che si segua con interesse il dibattito, nel Sinodo cattolico, tra «conservatori» e «progressisti», facendo un po’ «il tifo» – se così si può dire – proprio per questi ultimi, i cosiddetti «riformisti».

Si è molto parlato, prima e durante il Sinodo, di una questione specifica: quella dell’ammissione ai sacramenti, e in particolare all’eucaristia o Cena del Signore, dei divorziati risposati, che attualmente ne sono esclusi. È un problema che per le nostre chiese non si pone, anche perché nella visione protestante la Cena è anzitutto Cena del Signore, che invita alla sua mensa senza restrizioni tutti coloro che riconoscono la sua voce. «Perché ecco – dice il Signore nel libro dell’Apocalisse – io sto alla porta e busso: se qualcuno ascolta la mia voce e apre la porta, io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con me» (Ap. 3, 20).

Ma esiste un altro problema, si cui si parla troppo poco. C’è un’altra categoria di coppie che in qualche modo sono escluse dall’eucaristia. Non sto parlando né di divorziati, né di coppie di fatto, ma di coppie sposate, anzi sposatissime: sono le «famiglie interconfessionali», quelle in cui i coniugi appartengono a chiese cristiane diverse, per esempio uno è cattolico e l’altro protestante. Ciascuno dei coniugi può ovviamente prender parte alla Cena nella propria chiesa: ma per quanto riguarda la partecipazione comune all’eucaristia, secondo la norma vigente nella chiesa cattolica, niente da fare. In Italia questo problema tocca solo alcune migliaia di coppie, ma nel mondo sono milioni. Non a caso, durante la visita di Benedetto XVI in Germania, nel 2011, la Chiesa evangelica tedesca chiese al papa una maggiore apertura proprio su questo caso specifico: quello delle coppie sposate, che condividono un progetto di vita, una casa, gli affetti, dei figli, ma non possono condividere e partecipare insieme all’eucaristia. Sarebbe ora che, anche in questo campo, si facesse qualche passo ecumenico in avanti.

(Rubrica «In cammino verso l’unità della chiesa» della trasmissione di Radiouno «Culto evangelico» curata dalla Fcei, andata in onda domenica 12 ottobre).
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