panzieri

50 anni fa moriva Raniero Panzieri

Ricordare Raniero Panzieri a cinquant’anni dalla morte, avvenuta il 9 ottobre 1964, significa riscoprire ciò che nella sua proposta rappresenta uno strumento utile alla comprensione del nostro tempo, anche alla luce dei rapporti che il pensatore «operaista» ha intrattenuto con il mondo valdese attraverso feconde collaborazioni concretizzatesi con l’esperienza dei Quaderni Rossi e gli appuntamenti del centro ecumenico di Agàpe (Prali) del dicembre ‘60 e dell’agosto ‘61. All’universo protestante va il merito di aver prestato ascolto ad un esponente eretico dell’intellettualità socialista, oggi purtroppo dimenticato dalla storiografia ufficiale, anche di orientamento marxista. Dal tema dell’inchiesta operaia fino alla proposta di un recupero delle tematiche gramsciane dei consigli di fabbrica, sarebbero numerose le intuizioni panzieriane da riportare; ma due sono i punti sui quali si ritiene di poter concentrare l’attenzione in questa sede.

Panzieri – attento studioso di quanto accade nell’industria del miracolo economico – denuncia i limiti delle tradizionali forze della sinistra, le quali restavano ancorate alla tesi sull’arretratezza del sistema capitalistico italiano. Il fondatore dei Quaderni Rossi intende smascherare la neutralità dello sviluppo e costruisce la prima analisi demistificatrice della razionalità tecnologica scorgendo in essa il binomio sapere/potere: egli ritiene, marxianamente, che la divisione del lavoro abbia prodotto una scissione (tra le potenze intellettuali del processo produttivo e i lavoratori) che nell’epoca della grande industria separa la scienza facendone una potenza indipendente dal lavoro in grado di rafforzare il controllo del capitale. L’evolversi della tecnologia va dunque inserito all’interno di questo processo e il rifiuto della neutralità di scienza e tecnica conserva un valore oggi andato perso: proprio l’epoca postfordista – segnata dallo sviluppo dell’informatica – getta uno sguardo spesso privo di una riflessione sulla presunta «bontà» del progresso tecnologico.

Un altro decisivo aspetto è la critica da sinistra dello stalinismo. In molti hanno sottolineato la felice intuizione di Panzieri in relazione alla necessità di una via d’uscita dal dogma sovietico che non fosse il compromesso socialdemocratico, ma pochi si sono soffermati sui contenuti delle contestazioni polacche e ungheresi del 1956 alle quali l’intellettuale operaista intendeva dare spazio e valore, proprio in quanto tentativi autenticamente socialisti di creazione di un’alternativa sociale più che partitica. Una buona parte della sinistra, seppur antisovietica, non è stata capace di vedere nelle dissidenze dell’Est i semi di una novità, offrendo in questo modo la spalla a forze conservatrici che «usavano» i movimenti di opposizione al potere sovietico come dimostrazione della validità delle società occidentale. Già nel ’56 Panzieri aveva compreso come le rivolte dell’Est fossero volte a rilanciare il significato etico di un socialismo delle libertà all’interno di una cornice di potere operario antiburocratico e antiautoritario fondato sulla democrazia diretta e sulla guida dei processi economici e sociali da parte dei produttori associati. Un socialismo, quello panzieriano, inseparabile dalla democrazia, un’alternativa umanistica che egli cercò di seguire con coerenza anche quando preferì abbandonare le posizioni ufficiali, a costo di essere isolato. Credo che da evangelici, ancora oggi, possiamo riconoscere in Panzieri un compagno di viaggio di quella parola biblica che annuncia all’uomo la liberazione da ogni forma di oppressione.

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