06_10_2014_economia_e_teologia

Quando le banche sostituiscono lo Stato

«L’economia è fatta per l’uomo e non l’uomo per l’economia», amava ripetere il pastore Tullio Vinay, parafrasando il detto di Gesù sul sabato, per illustrare l’agape di Dio. Questa battuta esprime perfettamento l’esito del convegno su «Economia e teologia» organizzato dal Centro teologico, dal Centro evangelico di cultura Pascal e dal Centro studi filosofico-religiosi «Luigi Pareyson», svoltosi il 6 e 8 ottobre nel salone valdese di Torino. 

La prima giornata è stata dedicata all’economia politica come scienza sociale. Sono intervenuti successivamente i professori Andrea Moro (Venezia), Riccardo Bellofiore (Bergamo) e Luigino Bruni (Roma). Prima di parlare del modello neoliberista affermatosi all’inizio degli anni 80 con la globalizzazione dei mercati finanziari e che ha portato alla crisi scoppiata negli Stati Uniti nel «2008, hanno spiegato l’abc della teoria classica dell’economia capitalistica nata a partire dal 600, che ha come obiettivo precipuo il profitto, insistendo sulle differenze esistenti fin dall’inizio tra il mondo anglosassone e l’Europa mediterranea. Circa la meritocrazia, che spesso viene invocata per giustificare una determinata impostazione economica, è stato fatto notare che la Riforma di Lutero, con la sua affermazione che l’uomo è giustificato per grazia e non per merito, ha rappresentato un  punto di rottura anche in campo economico. 

Successivamente, i professori Stefano Zamagni (Bologna) e Gaël Giraud (Parigi) hanno affrontato la questione dell’economia in Europa, la crisi e le soluzioni possibili. Il modello che si è imposto nell’Unione europea con il Trattato di Maastricht del 1992 non è altro che quello nato in Germania negli anni 30 su suggerimento degli studiosi democristiani della «scuola di Friburgo», e denominato «ordoliberalismo», in cui la parola «ordo», ripresa dalla regola agostiniana, sta a indicare il ruolo specifico dello dello Stato nel fissare le regole dell’economia di mercato, tra cui una moneta fiduciaria stabile, dopo di che lo Stato si ritira, salvo intervenire come arbitro se le regole non vengono rispettate. Nel 1944, su richiesta dei cristiani sociali bavaresi, che insistevano sulla dimensione sociale (welfare), l’ordoliberalismo diventò «economia sociale di mercato». Nel 1959, al congresso di Bad Godesaberg, anche il partito social-democratico (Spd) adottò questo modello che tra l’altro prevede la cogestione tra impresa e sindacato su tutte le questioni inerenti al lavoro. Cose queste che è bene sapere quando si critica un po’ alla leggera la cancelliera Merkel. 

La seconda giornata è stata dedicata al rapporto tra cristianesimo e economia, prima con un’esposizione della teologia della liberazione, nata in America latina all’indomani del Concilio Vaticano II, fatta da Raul Gonzales Fabre (Madrid), Corinne Lanoir (Parigi) e Jacquineau Azetsop (Roma), poi a una presentazione di documenti e pronunciamenti delle Chiese (cattolica, protestanti e ortodosse) rispetto all’economia di mercato, fatta da Francesco Compagnoni (Roma) e Luca Maria Negro (Torino). La teologia della liberazione è, come tutte le teologie, una teologia contestuale, induttiva però, che prende cioè le mossa da un’esperienza vissuta di povertà e di emarginazione, che poi confronta la prassi politica del popolo con la Scrittura, in un incessante «circolo ermeneutico». In America latina e in Africa, l’economia neoliberista, centrata sull’interesse egoistico dell’individuo, è sempre stata antitetica alla cultura antropologica di quei due continenti, basata soprattutto sulla relazionalità e la solidarietà. 

Il convegno ha riaffermato con forza che l’economia, principale attività dell’umanità per assicurarsi la vita sulla terra, deve essere al servizio di tutti gli esseri umani, nessuno escluso, e quando tale attività, che ricade interamente sotto la responsabilità umana, non risponde o risponde solo parzialmente a questa finalità – come succede attualmente in molte parti del mondo da quando i mercati, e cioè le banche, tradizionali padroni del regno dei mezzi, hanno sottratto alla politica il regno dei fini e all’etica quello dei valori – l’umanità fa «ciò che è male agli occhi dell’Eterno», come si legge nell’Antico Testamento, e cioè fa una cosa contraria all’agape, l’amore infinito di Dio per il mondo da lui creato. C’è quindi un nesso evidente tra economia e teologia, non nel senso che la Bibbia dà delle ricette su come deve essere impostata l’attività economica ma nel senso che la libertà che Dio dà agli esseri umani, anche per inventare e organizzare un modo di produrre, non può essere fine a sé stessa e slegata dalla responsabilità che ognuno deve avere nei confronti degli altri. Come uscire dalla crisi? Tutti i relatori sono stati concordi nel dire che bisogna tornare a proporre un pensiero forte capace di influenzare il corso delle cose, accompagnandolo, a livello di base, da iniziative fatte all’insegna del «bene», dimostrando così – per dirla con Aristotele –  che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la virtù è più contagiosa del vizio.