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I guru, il selvaggio e lo stupratore

Il caso dei due marò agli arresti in attesa di giudizio ha acceso i riflettori sull’India. Riflettori che, in realtà non si sono mai spenti, ma davanti ai quali si susseguono filtri che alterano la nostra percezione della realtà: ora l’India è il paese del progresso, ora l’India è il paese delle barbarie.
La vicenda dei nostri due militari è nota. Grazie al ministro della Difesa La Russa, l’esercito fornisce dietro compenso i propri soldati per garantire la sicurezza dei carichi commerciali che navigano in acque infestate dai pirati. Qui si aprirebbe tutto un capitolo sulla gestione del bilancio dello Stato e dell’opportunità o meno che l’esercito pubblico entri nel mercato della sicurezza privata, ma non è di questo che parliamo qui.

In questo contesto due marinai italiani hanno sparato e ucciso due pescatori indiani, scambiati per pirati, probabilmente in acque internazionali. L’India chiede all’armatore italiano di attraccare in India e i due marò vengono arrestati. Certo, l’armatore avrebbe potuto tornare in indietro o chiedere alla Marina di mandare un elicottero in modo che i due non toccassero suolo indiano, ma questo è solo uno dei sintomi dell’ambiguità occidentale con l’India: possiamo rovinare i nostri rapporti commerciali col gigante asiatico?
Non entro nel merito delle questioni di diritto internazionale e su chi abbia la giurisdizione del caso, anche perché tendenzialmente ogni paese se ne infischia e cerca di salvaguardare il proprio cittadino, come avvenne ad esempio nel caso del pilota americano responsabile della strage del Cermis qualche anno fa sulle Alpi italiane. Questa storia getta un’ombra sulla forza diplomatica dell’Italia e sul suo ruolo nello scacchiere internazionale.

Per distrarre da quest’ombra, si accende un riflettore filtrato sull’India, aizzando in maniera razzista l’opinione pubblica italiana. L’India diventa il paese degli stupri, di punto in bianco. La percezione è che sia un fenomeno recente, perché solo recentemente la nostra stampa ha cominciato a parlarne. Quasi contemporaneamente l’India diventa il paese delle persecuzioni indù contro i cristiani nello stato dell’Orissa. Ma la nostra stampa tace il fatto che dal punto di vista del radicalismo nazionalista indù i cristiani sono come i musulmani, perché promuovono l’uguaglianza tra esseri umani contrapposta al sistema tradizionale delle caste, e che, dunque gli indiani cristiani e musulmani subiscono gli stessi attacchi per lo stesso motivo. Figurarsi se debba passare in Italia l’idea che l’Islam possa andare a braccetto col cristianesimo nella promozione dei diritti umani!
Questo modo di dire cose vere in maniera parziale nasconde anche il fatto che, ammesso che la qualità della vita sia migliore in Italia per ricchezza e accesso a sanità e istruzione — finché dura — il nostro paese non è affatto libero da episodi di intolleranza anche estremamente violenti, da femminicidi, da omofobia.

Abbiamo accennato all’ipocrisia data dall’importanza dei rapporti commerciali. L’India sarà un paese brutale e selvaggio, ma è sempre un mercato di un miliardo di consumatori e con un costo del lavoro decisamente inferiore al nostro. D’altra parte pare che non abbiamo problemi ad avere rapporti commerciali con l’Arabia Saudita e il Qatar e, per fare un esempio di un fenomeno piccolo ma significativo, la produzione importante di cartoni animati francesi è in parte delocalizzata in Corea del Nord, inaccessibile alla Bibbia, non agli euro.
Ma c’è un altro aspetto che resiste ai filtri adombranti: l’aura di luce emanata dai guru indiani. Anche grazie ai Beatles e alla loro esperienza con il Maharishi Yogi, dalla fine degli anni 1960 c’è stato un proliferarsi di maestri spirituali o guru indiani in Occidente, di cui il più celebre è Sai Baba. Si tratta di un fenomeno assai controverso perché alcuni di questi, predicando una visione cosmica distaccata dal mondo materiale, hanno poi de facto costruito dei veri e propri imperi finanziari, facendo proselitismo nella classi occidentali più ricche, dimenticandosi della situazione disperata di milioni di indiani nelle immense baraccopoli di Mumbai e Calcutta. Altro comportamento, se vogliamo paragonare, quello di Gandhi, che fu sì un leader carismatico, ma che visse e morì per il benessere del suo popolo, senza cercare facili consensi all’estero, anzi ponendosi in contrasto durissimo con le potenze coloniali.

Ultimo guru in ordine di tempo è la filosofa Vandana Shiva che, senza alcuna competenza — anzi vantando nessuna competenza — spadroneggia in Occidente su temi molto specifici, quali i pro e i contro della semplice esistenza di organismi geneticamente modificati nell’agricoltura. Sarà tra gli ospiti d’onore dell’Expo 2015 a Milano, è vicepresidente di Slow Food e partecipa spesso a dibattiti televisivi in cui oppone alle domande che le vengono fatte il proprio carisma più che il merito e la contingenza. Recentemente il New Yorker, storica rivista della sinistra americana, ha pubblicato un serio e duro servizio di Micheal Specter sull’intellettuale indiana, riportato in Italia solamente dal Foglio tradotto e curato da Giordano Masini. Eppure, la sua reputazione politica e mediatica appare inossidabile.

Allora cos’è l’India? Un grande paese, un’insieme di culture plurimillenarie, una terra di contraddizioni, con profonde ingiustizie che convivono con grandi speranze. Di notte la nostra mente separa i sogni dagli incubi: la realtà è composta da entrambi, in India come da noi in Italia.
Non possiamo non guardare l’India se non attraverso questi filtri che, come abbiamo visto, sono spesso strumentali e specchio delle nostre contraddizioni e ipocrisie. Si rende pertanto necessario lo sforzo di non farci catturare dalle visioni distorte, per considerare gli indiani alla pari, evitando un inconsapevole razzismo che li dipinga in maniera caricaturale come il buono, il brutto e il cattivo.
Cercare il nemico o alternativamente la salvezza fuori da noi non è una strada percorribile, ma anzi rischia di render ciechi alle proprie contraddizioni e responsabilità.

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