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Un giapponese in val Pellice

A Torre Pellice giungono a volte personaggi inconsueti, per turismo, ricerca delle origini, studio; è il caso del giovane professore di francese di Osaka che ha trascorso due mesi fra i luoghi simbolo del mondo valdese.

La sua storia inizia nel 2004: Yutaka Arita, studente, vede il film Giovanna d’Arco di Luc Besson e ne rimane colpito. Comincia a leggere libri sulle eresie, sull’Inquisizione, a studiare per conto suo il francese per scoprire un mondo di cui non sa nulla. Vuole scrivere la dissertazione sui catari, già noti in Giappone, ma il suo professore gli suggerisce di concentrarsi piuttosto su una delle eresie meno conosciute: «C’era un solo libro sui valdesi, di Sugiko Nishikawa, professore all’Università di Tokyo. L’ho letto, ma non avevo abbastanza materiale. Così, nel settembre 2005 sono partito per Lione. Ho studiato la storia europea e il francese per un anno, nell’ottobre 2006 sono arrivato a Torre Pellice, dove grazie al francese e all’aiuto di Mariella Tagliero, responsabile della Biblioteca valdese, ho raccolto molte informazioni».

Tornato in Giappone, Yutaka completa la dissertazione sui valdesi come eresia medievale nel 2008, nel 2010 la tesi di Master sull’adesione dei valdesi alla Riforma, e infine la tesi di dottorato nel 2013, sulla formazione e la conservazione della coscienza collettiva dei valdesi dopo la Riforma.

«Poi ho creato l’Association japonaise d’études vaudoises per far conoscere i valdesi in Giappone; è il mio sito internet personale, ma volevo dargli un tono scientifico, con la bibliografia, le informazioni sulla storia dei valdesi, materiali utili per i ricercatori e per chi è interessato, che possono contattarmi via email».

L’oggetto del suo studio è «la “coscienza collettiva dei valdesi” (concetto simile ma non identico all’“identità valdese”), cioè i modi in cui i valdesi considerano loro stessi». Su questo tema, in particolare sul periodo dopo il 1848, si focalizza la sua ricerca all’Università di Bologna, che lo porta di nuovo a Torre Pellice. Vuole dimostrare attraverso i documenti protestanti e cattolici «come si è formato il gruppo originario, e se dopo l’adesione alla Riforma i valdesi sono ancora consapevoli delle loro origini. Nelle ricerche precedenti, l’esistenza dell’identità valdese veniva collegata ad aspetti come l’organizzazione della chiesa, la forma del culto, più che a come i valdesi si considerano e si descrivono. Ho quindi provato a chiarire questa loro immagine nel tempo (cercando di capire se era un’immagine univoca), la “leggenda” trasmessa fino al XIX secolo, chiedendomi se mantengono anche dopo questa data la coscienza del legame con le loro origini».

Queste ricerche hanno cambiato le tue idee sui valdesi? «Non sul lato personale, mi sento come uno di famiglia, amo le Valli e vorrei ricambiare il bene ricevuto. Ma ho capito che la loro coscienza collettiva oggi è variegata. Pensavo che dopo il 1848 cercassero di mantenerla secondo la memoria, i luoghi storici, un’immagine unitaria come quella medievale di discendenti degli apostoli. Invece, mi sembra che i valdesi non sentano più il bisogno di manifestare la loro coscienza collettiva e mantenerla fissa. Quando chiedo loro “Chi sono i valdesi?”, vedo che ognuno ha la sua immagine: il popolo della Bibbia, i precursori del protestantesimo in Italia, le vittime di persecuzioni nelle valli piemontesi…»

E per il futuro? «Presenterò i risultati della mia ricerca a un congresso in Germania il mese prossimo. Tornato in Giappone, conto di scrivere una storia completa dei valdesi in giapponese, che ancora non c’è…».