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La Scozia vota per restare

La Scozia ha votato “no”. Non un plebiscito, ma una chiara vittoria in quasi tutte le contee, con l’unica importante eccezione di Glasgow, la città più popolosa chiamata al voto, terza del Regno Unito. Quando la scommessa di Alex Salmond, presidente del governo scozzese, è stata lanciata, sembrava un puro atto di testimonianza o una semplice conta. I sondaggi delle ultime settimane e il risultato finale hanno mostrato invece che l’eventualità di una Scozia indipendente non era solo un’ipotesi.

Pur essendo stato un esercizio pacifico di democrazia, il referendum aveva molti punti controversi, a partire dalla domanda principale: chi ha titolo per decidere una svolta così drammatica? La risposta è stata: i cittadini britannici residenti in Scozia. Dunque, non una scelta etnica — gli scozzesi residenti nel resto del Regno Unito o all’estero non hanno potuto esprimersi — e neanche una scelta condivisa — i cittadini residenti in Irlanda del Nord, Galles e Inghilterra hanno di fatto subito le conseguenze del voto scozzese.

Particolare interessante per un italiano: nel Regno Unito non c’è un chiaro concetto di residenza. In Italia è obbligatorio risiedere nel territorio di un comune, le autorità di polizia verificano la residenza ed essa va dichiarata nella maggior parte degli atti pubblici. In una cultura politica che si fida del cittadino, che non deve neanche mostrare un documento al seggio, ma semplicemente dichiarare il proprio nome, è bastato registrarsi come residente.

Ad ogni modo, è stato un confronto partecipato, franco e pacifico, ben diverso dal simile referendum nordirlandese del 1973 dove i repubblicani non si presentarono alle urne, ridicolizzando così il 98.9% dei voti favorevoli all’Unione. In tempi di guerre civili e lotte settarie, è una buona notizia.

Altro aspetto controverso: ha senso che una popolazione non oppressa scelga di avviare una secessione? Ci sono delle divergenze enormi tra Scozia e Inghilterra, ma nessuna di esse può essere classificata come oppressione. La Scozia — come il nord dell’Inghilterra, ex industriale ed ex minerario —  è tendenzialmente progressista, mentre la maggior parte della popolazione britannica che vota vive nel ricco Sud, storicamente conservatore. La Scozia è storicamente più povera dell’Inghilterra. La Scozia è decisamente più europeista dell’Inghilterra. La Scozia ha una forte identità nazionale, mentre l’Inghilterra ha una forte identità coloniale.

Quest’ultimo punto la dice lunga sulla conduzione della campagna referendaria. Solo nelle ultime settimane gli inglesi hanno preso sul serio la volontà indipendentista di buona parte degli scozzesi che, sommato al malcontento di troppi altri, rischiava di mandare in frantumi il Regno Unito, con conseguenze imprevedibili. Con “imprevedibili” non intendo dire che sarebbe andata male a uno o a entrambi, assecondando chi giocava la carta della paura, ma che effettivamente non si sa quali sarebbero state effettivamente le conseguenze sul lungo termine. A breve termine è ovvio che i mercati avrebbero speculato sull’incertezza politica, come sempre. La Repubblica d’Irlanda ha infatti cominciato a prosperare — politicamente ed economicamente — solo settant’anni dopo l’indipendenza dichiarata nel 1922.

Da un punto di vista religioso, Scozia e Inghilterra sono già indipendenti. La Established Church — diremmo la chiesa di Stato, anche se con sfumature diverse — è presbiteriana in Scozia e anglicana in Inghilterra. Tra l’altro, una piccola curiosità, la regina incontra il papa in visita nel Regno Unito nella residenza di Holyrood a Edimburgo, proprio perché in Scozia è capo di stato, ma non “capo” della chiesa di stato — per la precisione, la dizione esatta è governor della chiesa, perché l’unico head della chiesa è Cristo.

Dal 1997 la Scozia ha ricevuto dal Regno Unito la cosiddetta devolution. È stato fondato un Parlamento scozzese con un proprio governo, con sede in Edimburgo, che ha competenze su quasi tutto, eccetto l’economia, la difesa, la politica estera, il welfare e le comunicazioni. In parte ha competenze fiscali. Il parlamento scozzese decide pertanto su uno dei punti più importanti delle lotte indipendentiste: l’istruzione. Non si può dire che c’è l’imposizione culturale inglese, perché è la Scozia a decidere cosa s’insegna a scuola o meno ed eventualmente quali lingue insegnare — nel caso in cui, ad esempio, si ritenesse l’antico gaelico lingua nazionale. Certo, la formazione punta alla preparazione in vista dell’ammissione nelle grandi università soprattutto inglesi, ma il prestigio di Oxford e Cambridge non sarebbe mutato in seguito a un diverso risultato referendario.

Certo, il prezioso Brent, il petrolio del Mar del Nord che è nelle acque territoriali scozzesi, è condiviso con il resto del Regno Unito, ma questo vale anche per le spese per lo sfruttamento dei giacimenti sottomarini, mentre la maggior parte degli operai sarebbe scozzese. Restando in campo economico, l’ingenuità politica del presidente Salmond, che gli è costata forse qualche punto percentuale, è stata soprattutto sulla sovranità monetaria. Egli aveva dichiarato che la Scozia avrebbe avuto la sterlina, gestita autonomamente dalla Banca d’Inghilterra. Questo è stato un punto debolissimo della campagna per il “sì”, soprattutto vedendo che nell’eurozona non è che ce la caviamo benissimo, anche se ogni stato membro ha voce in capitolo presso la Banca Centrale Europea, mentre gli scozzesi non avrebbero avuto nessuna influenza su Londra.

Queste brevi note ci dicono una cosa: da una parte l’identità scozzese è viva, dall’altra c’è un’identità culturale britannica difficile da scindere. Per un europeo continentale è difficile da capire, visto che da qui son tutti “inglesi” — la bandiera “inglese”, l’inno “inglese”, la capitale “inglese”, gli “inglesi” dell’Ulster, gli scrittori “inglesi” e così via. Se può essere possibile separare economicamente due realtà politiche, lo è meno dal punto di vista culturale. L’inglese Joanne Rowling è diventata una grande scrittrice da edimburghese. L’attuale Doctor Who è di Glasgow. L’inglese Daniel Craig interpreta lo scozzese James Bond. Gli esempi di come l’Unione sancita nel 1707 abbia mischiato i due popoli e le due culture sono innumerevoli.

Chi scrive è un cittadino (anche) britannico nato in Irlanda del Nord. La mia visione è parziale. La mia identità nazionale e culturale è composita e complessa. Non credo che possa essere risolta nella separazione, ma solo in una unione più giusta, rispettosa e accogliente. Sono contento del risultato scozzese, ma queste riflessioni valgono anche mutatis mutandis per l’Unione Europea.

Foto copertina: “Scottish IndyRef 2014 11” by Brian McNeilOwn work. Licensed under CC BY-SA 3.0 via Wikimedia Commons.