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La pace è il futuro

Le religioni dicono oggi con più forza di ieri: non c’è guerra santa; l’eliminazione dell’altro in nome di Dio è sempre blasfema. L’eliminazione dell’altro, usando il nome di Dio, è solo orrore e terrore. Accecati dall’odio, ci si allontana in questo modo dalla religione pura e si distrugge quella religione che si dice di difendere”. Questa è la dichiarazione solenne sottoscritta nell’Appello di pace il 9 settembre scorso da oltre 300 leader di varie religioni e paesi di tutti i continenti del mondo convocati ad Anversa (Belgio) dal movimento ecclesiale cattolico Comunità di Sant’Egidio.

Un incontro attraversato dalle tensioni di questi ultimi mesi nel cuore dell’Europa – in Ucraina – e nella sua immediata periferia – Iraq, Siria, Libia, Gaza – oltre che in una miriade di guerre “locali”, spesso feroci e che considerano come nemico anche le popolazioni inermi. Per non parlare di quelle situazioni malamente “pacificate” che vedono covare sotto le ceneri la brace delle prossime violenze. Difficile non condividere l’immagine di “terza guerra mondiale, ma a pezzetti” utilizzata recentemente da papa Francesco.

L’incontro di Anversa è avvenuto nel ricordo dei cento anni dallo scoppio della prima guerra mondiale che vide la nascita e l’utilizzo della prima arma di distruzione di massa: l’iprite, il gas che prese il nome dalla cittadina belga IPRES che l’esercito tedesco utilizzo come test, segno di una ferocia crescente della guerra, che ebbe nella seconda guerra mondiale ulteriore sviluppo. Ma è avvenuto anche nel ricordo di una generazione di politici e intellettuali europei che, dopo la catastrofe delle due grandi guerre, seppero rendere concreto un pensiero politico audace: quello della cooperazione, prima, e dell’unione poi, di popoli e nazioni che per troppo tempo si erano scontrate fino allo sfinimento. La solidità del tessuto culturale e democratico delle società civili europee sono state la base che hanno reso possibile ricostruire grandi città dove c’erano solo le macerie della guerra, ponti dove c’erano i muri che dividevano il mondo in aree d’influenza, riconciliazione dove c’erano anche le ferite e l’odio per il male subito.

Oggi, però, molti pensano che si sia conclusa la spinta propulsiva di quella generazione e di quel pensiero politico audace. Lo dimostrerebbero la disgregazione dell’ideale europeo nei paesi dell’Unione, la ripresa di politiche di difesa nazionale di fronte alla crisi economica comune, le divisioni su base etnica nei Balcani e nei paesi al confine con la Russia. Nonostante tutto, il progetto europeista – frutto della peculiare e sofferta storia di questo continente – resta l’unico capace di contrastare nazionalismi miopi e conflitti violenti. Almeno a casa nostra.

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