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Un appello ecumenico contro la violenza sulle donne

Il femminicidio e la violenza di genere sono un’emergenza sociale che riguarda in primo luogo le relazioni di coppia e la famiglia, rendendo sempre più urgente una riflessione che coinvolga anche le chiese. Per questo motivo, la Federazione delle chiese evangeliche in Italia ha promosso un appello ecumenico affinché le diverse confessioni intraprendano progetti comuni per contrastare la violenza sulle donne. Un’iniziativa importante che ha già avuto l’avallo della Cei e che è in attesa di un riscontro da parte delle chiese ortodosse italiane. Un passo ulteriore rispetto all’impegno interno al mondo protestante, che sul tema della violenza di genere già da anni porta avanti un percorso di confronto e di accoglienza. Ne parliamo con Gianna Urizio, presidente della Federazione delle donne evangeliche in Italia.

Il Sinodo ha approvato un ordine del giorno che invita le chiese a proseguire nelle azioni di contrasto alla violenza di genere, prendendo le distanze da una visione patriarcale della società ma anche della teologia. In particolare suggerisce di utilizzare l’esperienza della Fdei: qual è il percorso già fatto dalle donne evangeliche?

“Nel 1998, la Fdei accolse la proposta del Consiglio mondiale delle chiese di dedicare un decennio di riflessione sulla violenza contro le donne, che già allora emergeva a livello europeo e mondiale come un dramma dimenticato. In quell’occasione le donne evangeliche ebbero il coraggio di smontare uno stereotipo e dire che non è vero che l’amore debba accettare e sopportare ogni cosa ma che amare significa anche dire di no e prendere le distanze da un uomo violento. Una posizione che suscitò delle reazioni ma che ha contribuito a far luce su un fenomeno che è diventato di dominio pubblico diversi anni dopo. Infatti soltanto nel 2006 l’Istat ha pubblicato i dati sulle donne che subivano violenza per il solo fatto di appartenere al genere femminile: le donne evangeliche ci lavoravano da otto anni, con l’intenzione di fornire delle piste bibliche di riflessione e dare coraggio alle donne che soffrivano in silenzio per paura delle conseguenze”.

L’iniziativa della Fcei di promuovere un appello con le altre chiese cristiane è un passaggio importante anche se non esente da difficoltà per la diversa concezione, per esempio, della famiglia. Su quali basi si possono realizzare un percorso comune?

“Per quanto riguarda la famiglia noi diciamo chiaramente che c’è un limite oltre il quale sopportare non è giusto e che una relazione amorosa può finire. Di più: in una situazione di violenza, l’affido dei figli non può essere condiviso. Poi è indispensabile interrogarsi su quali meccanismi portino un uomo alla violenza, che non è soltanto fisica ma anche psicologica, sessuale, economica. Io credo che le chiese cristiane si potrebbero incontrare nella prevenzione: per esempio nella pastorale dei fidanzati va insegnato il rispetto e non l’ubbidienza. In questo senso ci sono state ultimamente aperture di papa Francesco ai divorziati. È comunque importante che le chiese inizino a muoversi: abbiamo di fronte un percorso difficile ma interessante”.

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Volontarie al Sinodo

In questa prospettiva, in cui è importante il lavoro di studio e interpretazione della Bibbia in una chiave non patriarcale, la teologia femminista può giocare un ruolo?

“Certamente: l’Antico e il Nuovo Testamento sono dentro una cultura patriarcale, che per quanto pervasiva non è però l’unico modello. La pastora Lidia Maggi ha fatto un interessante lavoro per rintracciare i fili rossi di parità, dignità e autonomia femminile che ci sono nella Bibbia, senza passare sotto silenzio le storie che parlano della violenza contro le donne, come quella della concubina del levita, messa fuori dalla porta e stuprata. Questo lavoro di interpretazione non cambia ovviamente la riflessione su Dio ma la nostra lettura della società ebraica: un approccio che può arricchire la lettura biblica perché una cosa è la relazione con Dio e un’altra il modo in cui possiamo descriverla; e questo è la carta che abbiamo oggi nelle nostre mani”.

Invece nella società italiana si riscontra un ritorno al passato: mancano i servizi di supporto alle donne, l’interruzione di gravidanza non viene garantita ovunque, chiudono i centri antiviolenza: in questo quadro un’interpretazione diversa delle chiese cristiane potrebbe essere rivoluzionaria.

“Ricordiamoci che il movimento delle donne ha soltanto quarant’anni e il lavoro delle suffragette e di Elizabeth Cady Stanton sulla Bibbia ha poco più di un secolo: che cosa sono rispetto a ottomila anni di patriarcato? Pochissimo. Quindi è chiaro che sul rispetto dei diritti e delle persone non dobbiamo abbassare la guardia”.

Foto Paolo Ciaberta