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La dignità della persona umana al centro della serata pubblica del Sinodo

Non è stato un omaggio alla sede del dibattito (un tempio protestante non è un luogo sacro), e neppure soltanto un atto di cortesia nei confronti dell’assemblea sinodale che annualmente richiama l’attenzione della stampa italiana. L’intervento di Luigi Manconi, senatore, presidente della Commissione parlamentare per la tutela dei diritti umani, sul tema «I diritti di tutte e di tutti», lunedì 25 agosto a Torre Pellice, ha avuto uno spessore teologico e biblico forse non previsto né dagli organizzatori né dallo stesso ospite.

È stato il cristianesimo ad affermare il collegamento tra la sacralità della persona umana e la necessità di garantire la dignità della persona. Ciò avviene quando Dio si fa uomo – ha detto Manconi –ma prima ancora quando la Bibbia esprime l’ammonimento: Nessuno tocchi Caino. La dignità di Caino «è più forte del male che quella stessa persona può aver compiuto». E la storia dei diritti umani è proprio la storia di un conflitto, acerrimo, tra tutela dell’inviolabilità del corpo e tendenza a violarlo e modificarlo, spesso con violenza estrema.

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A sostegno della propria tesi il senatore ha portato alcuni esempi della nostra storia recente, il più indicativo dei quali è quello dei migranti che sbarcano a Lampedusa. Facendo riferimento al celebre libro di Primo Levi I sommersi e i salvati (1986), Manconi ha chiarito che, se i morti (per naufragio o per stenti) sono i sommersi, letteralmente sommersi dalle acque, noi tendiamo a definire «salvati» i sopravvissuti.

Essi però diventano «clandestini», pur essendo illuminati a giorno dai riflettori di forze dell’ordine e televisioni. Pur essendo «esposti» (in origine il termine indicava i neonati abbandonati), sono clandestini: ciò dimostra anche il pericoloso slittamento del senso delle nostre parole: la tragedia è anche intellettuale. «Il corpo come sede e fondazione della dignità umana – ha concluso Manconi – costituisce la vera posta in gioco del conflitto tra affermazione e negazione dei diritti umani. È questo il conflitto che oggi come non mai attraversa e lacera il nostro mondo».

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Quando un individuo vede negati i suoi diritti fondamentali, ne risente la collettività tutta. Seguendo questo ragionamento i valdesi pretesero di arrivare a stipulare un’Intesa con lo Stato (la prima con una confessione religiosa diversa dalla cattolica): trent’anni fa fu una battaglia per la libertà di tutti: lo ha ricordato Alessandra Trotta, presidente dell’Opera per le chiese metodiste in Italia. Con lo stesso spirito i protestanti italiani si battono oggi per i diritti delle chiese tuttora prive di un’Intesa: non si chiede nient’altro che l’attuazione del dettato costituzionale. Lo ha rimarcato anche Paolo Naso, politologo, che ha anche ribadito come i diritti non possano essere frutto di negoziazioni bilaterali: la loro inalienabilità (e universalità) è un concetto tipicamente occidentale, da salvaguardare – anche nel confronto con altre culture.

L’intervento di Giovanna Pentenero, assessore al Lavoro-Istruzione-Formazione della Regione Piemonte, ha ricondotto la serata anche ai termini forniti dalle cifre, alla quotidianità dell’impegno per migliorare la situazione occupazionale, battaglia che richiede perseveranza, individuazione di obiettivi precisi e realistici, tenendo conto che occorre non solo creare occupazione per chi è disoccupato, ma anche impedire che vengano sottilmente erosi i diritti di chi un lavoro ce l’ha, ma con garanzie sempre più labili.

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Il moderatore della Tavola valdese, pastore Eugenio Bernardini, ha concluso la serata che ha visto, sotto la conduzione di Gianmario Gillio, gli interventi musicali di Raffaella Azzario (violino), Giovanni Selvaggi (arpa) e della Corale valdese di Pinerolo. I valdesi hanno voluto battersi per i diritti e la libertà di tutti – ha detto Bernardini – perché avevano in mente anche l’indicazione dei loro antenati medievali: libere praedicare. Mossi dal desiderio di portare la Parola di Dio nell’Europa del tempo, capirono che la migliore garanzia per la propria libertà non era la ricerca di un privilegio ma una più ampia libertà per tutti. E così l’azione sociale delle chiese metodiste fin dal loro sorgere nell’Inghilterra del sec. XVIII, fu rivolto non solo alla testimonianza evangelica ma anche alla cura dei corpi che venivano giornalmente oltraggiati dal lavoro nelle fabbriche e nelle miniere e dalla piaga dell’alcolismo.

Così la serata è ritornata a quell’unità della persona umana, fatta di spirito e di fisicità, che non possono essere disgiunti, pena la perdita della dignità e di ogni diritto.

Photo  credits: Paolo Ciaberta – www.paolociaberta.eu