giornata miegge

Cristo è morto per noi

La comprensione del testo biblico costa fatica, confronto di traduzioni, impegno interpretativo, conoscenza della storia. Sicuramente, la giornata teologica Giovanni Miegge 2014 ha dato dimostrazione di come questo lavoro possa produrre un dibattito fecondo, capace di ridiscutere convinzioni assodate nella tradizione ecclesiastica.

Ogni anno, prima di cominciare l’intensa settimana sinodale, il corpo pastorale valdese interrompe le sue attività per una giornata di riflessione, che certo coinvolge i pastori e le pastore, ma che è offerta a tutti i membri di chiesa. E dopo aver prediletta l’analisi sociale e politica, quest’anno si è andati al centro della dottrina cristiana: “Era necessario che Gesù morisse?”. La morte in croce di Gesù Cristo al posto del peccatore (la cosiddetta espiazione vicaria) in che modo è comunicabile nel mondo contemporaneo? Quali sono le interpretazioni che di quella vicenda umana, drammatica, sanguinaria e sconvolgente, danno le testimonianze bibliche?

Il libro di Isaia e il canto del servo sofferente sono stati al centro della relazione di Daniele Garrone, professore di Antico Testamento presso la Facoltà valdese di Teologia. Tradizionalmente schiacciata in una interpretazione cristiana, nata con la patristica e poi recuperata dalla Riforma, la pericope è stata ricollocata nel suo contesto, negli anni del ritorno di Israele dall’esilio di Babilonia, nella ricomprensione della tradizione profetica. Il lavoro del filologo investiga anche la storia delle interpretazioni: come il dibattito ha evidenziato, non capiremmo il mondo di Paolo e dunque il suo incontro con la croce se non pensassimo anche al contesto in cui egli si muoveva. La relazione di Rosanna Ciappa, storica del Cristianesimo presso l’Università di Napoli Federico II, ha sottolineato le origini bibliche dell’esposizione del sacrificio vicario nel Catechismo di Heidelberg. Concentrandosi sul Nuovo Testamento, è tornata a discutere la pluralità di letture dell’evento della croce anche all’interno del testo canonico. E proprio sull’impossibilità di adottare lo sguardo di Dio, nella nostra relatività, ma di doversi confrontare con la storia di Gesù in relazione alla nostra storia si è soffermata la relazione di Fulvio Ferrario, ordinario di Teologia sistematica presso la Facoltà valdese.

In tutte le relazioni e nell’utile discussione si è sottolineato come nella molteplicità di letture sia possibile dire che Cristo è morto per noi. A favore nostro dunque. Dio si è avvicinato in Cristo: nella pluralità del Nuovo Testamento, come in quella ecclesiastica oggi, questo resta il cuore della buona notizia. (s.m.)