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Rifugiati. Come migliorare il programma di reinsediamento europeo

«Riconosciamo gli sforzi della Commissione europea nel portare avanti un programma di reinsediamento europeo, tuttavia riteniamo che lo schema proposto si concentri eccessivamente sull’obiettivo del controllo migratorio, a detrimento delle potenziali funzioni del reinsediamento, inteso come strumento di salvataggio e come soluzione durevole». È questa la premessa del documento che la Commissione delle chiese per i migranti in Europa (Ccme) ha firmato insieme ad altre organizzazioni internazionali – tra cui figurano Caritas Europa, l’European Council for Refugees and Exiles (Ecre) e l’International Catholic Migration Commission (Icmc). Le sei pagine di analisi, inviate dai firmatari alla Commissione europea il 14 novembre, costituiscono una proposta organica di modifica al testo che lo scorso 13 luglio la Commissione aveva sottoposto al Parlamento e al Consiglio europeo, nel tentativo di stimolare una riforma del cosiddetto “programma di reinsediamento europeo”.

Nel contesto dell’UE, il reinsediamento (altrimenti noto con la parola inglese ‘resettlement’) è «il trasferimento di cittadini di paesi terzi o apolidi, riconosciuti bisognosi di protezione internazionale, in uno Stato membro dell’UE in cui sono ammessi per motivi umanitari o come rifugiati». Se questa è la definizione, l’obiezione di fondo che il Ccme ed altre organizzazioni muovono alla proposta di legge posta in essere dalla Commissione, è che questa descriva lo strumento del “reinsediamento” come alternativo e non come complementare alle richieste d’asilo formulate nel paese di primo approdo dai soggetti vulnerabili che spontaneamente giungono nei paesi europei. Riprendendo, articolo per articolo, la proposta della Commissione, il documento si concentra su otto punti di merito: un reinsediamento genuinamente europeo non dovrebbe essere “mischiato” ad altre vie legali di protezione; non dovrebbe dipendere o essere condizionato dai rapporti di cooperazione che l’UE intrattiene con paesi terzi in materia di migrazione; non dovrebbe limitarsi alle aree di crisi; dovrebbe allinearsi ai criteri di idoneità dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr); dovrebbe disincentivare il ricorso a criteri di esclusione arbitrari; dovrebbe essere costruito sull’esperienza pregressa e valorizzare le procedure esistenti; ed infine, dovrebbe incoraggiare e facilitare piani e azioni d’accoglienza e d’integrazione all’interno dei singoli paesi.

 

Foto: Wikimedia Commons