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Pungolare la politica sulla mobilità

È in distribuzione in tutto il territorio del pinerolese il numero di marzo del mensile gratuito L’Eco delle valli valdesi, il cui dossier questo mese è dedicato a trasporti e mobilità. Qui di seguito un articolo di inquadramento generale del tema. Buona lettura.

Cerco di riassumere così il complesso quadro che ha esposto con estrema chiarezza Giada Maio, responsabile dell’ufficio transizione energetica mobilità e trasporto pubblico locale dell’Anci, Associazione nazionale Comuni italiani, nel rispondere alle impossibili domande a cui l’ho sottoposta: qual è la politica sulla mobilità pubblica in Italia, e che cosa si dice delle aree interne? Quali sono i progetti più promettenti? E qual è il confronto con l’estero? Domande per le quali sarebbero necessarie ore di intervista e interi numeri di giornale, ma proveremo a stringerle in questa introduzione.

Per cominciare, Maio conferma l’impressione che proviamo nei piccoli centri: «la politica della mobilità è città-centrica». In parte è inevitabile: la domanda nei grandi centri è più forte e stabile. Eppure la popolazione è distribuita in modo vario, con molti centri medi e piccoli. Qui si incontra uno dei nodi critici, spiega Maio, cioè lo scarso peso che i Comuni hanno nella gestione delle risorse. Il Fondo nazionale per il Trasporto pubblico locale (Tpl – 5 miliardi all’anno) viene diviso tra le Regioni, che poi lo spendono sul territorio; «così facendo buona parte di questa cifra finisce alle città, perché la domanda è uno dei principali criteri di assegnazione». I grandi Comuni sono anche quelli con le risorse per gestire autonomamente una parte del Tpl, direttamente o tramite un’azienda (che spesso è partecipata), molte delle quali sono in crisi da anni, una crisi ulteriormente precipitata con la pandemia. Perciò, tra la politica di lasciare il settore in mano alle Regioni e le diverse possibilità e progettualità dei Comuni (alle prese con grandi buchi di bilancio), coesistono città con mobilità all’avanguardia e molte altre dove il Tpl è visto come il trasporto di serie B. I piccoli Comuni restano ancora più indietro, visto che sono le Regioni a gestire i loro trasporti.

Secondo l’Anci quindi si dovrebbe puntare «a un riposizionamento complessivo del Tpl», tanto più che, per legge, le gare per la gestione della mobilità pubblica vanno rinnovate a breve, nel 2024 – «ma non è scontato che questo si traduca nel cambiamento necessario». La normativa attuale è molto stringente e le realtà che portano avanti idee diverse devono, in sostanza, aggirarla, oppure limitarsi a progetti sperimentali. Questo succede a esempio in alcune zone del bacino di Como-Varese, oppure proprio nella Città Metropolitana di Torino, in questo caso con il progetto Clip E-Trasporti per Interreg Alcotra, che sperimenta il servizio on demand su alcune linee transfrontaliere con la Francia. Un paese, e il discorso vale anche per Regno Unito o Stati Uniti, dove questo tipo di servizio (promosso con forza dall’Anci) è più diffuso, grazie a norme meno rigide. L’idea è di evitare le linee fisse di autobus che viaggiano per lo più vuoti, e creare sistemi tarati sulla domanda specifica degli utenti locali. Gli esperimenti sembrano funzionare, ma esistono al di fuori della politica nazionale, così come succede nelle aree interne del Modenese, dove gli scuolabus caricano anche utenti adulti per ottimizzare i viaggi. Un servizio che esiste ai margini di norme stringenti sul trasporto scolastico, che non permettono la flessibilità necessaria.

Un altro elemento cruciale è, ovviamente, il denaro. Le aziende di trasporto pubblico sono in crisi e bisogna capire come renderle sostenibili, ma allo stesso tempo bisogna rendere convenienti questi viaggi per gli utenti. Perché l’obiettivo è (o dovrebbe essere) quello di abbandonare il più possibile le auto, un argomento che oggi è quasi tabù e foriero di continue polemiche. Perciò, ci dice Maio, «la politica va pungolata con forza perché vengano riviste le priorità e si faccia di tutto per portare avanti questa transizione, che è anche culturale». Il cittadino dev’essere incentivato il più possibile a evitare l’auto. Di recente qualcosa si è visto, come l’importante sgravio fiscale degli abbonamenti. Ma si può e deve fare molto di più. «Si potrebbero sostenere con fondi pubblici servizi di sharing tarati sulle aree interne, laddove il mercato non arriva come in città. Oppure si può rendere più comodo il viaggio introducendo una mobility card che copra tutti i tipi di viaggio, senza dover comprare biglietti o abbonamenti separati».

Niente di tutto questo è semplice, ma è ancora più difficile se la spinta istituzionale è così debole. Le idee, buone, ci sono. Bisogna pungolare la politica perché le metta al centro di un piano ambizioso ma necessario.