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Dopo la globalizzazione, le guerre commerciali

È in distribuzione gratuita in tutto il territorio del pinerolese il numero di maggio del mensile free press “L’Eco delle valli valdesi” (leggibile anche sul sito www.riforma.it) con un dossier dedicato all’impatto sul comparto economico locale delle sanzioni e delle contro-sanzioni economiche imposte dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Quello che segue è un articolo scritto da Giovanni Balcet, che ha insegnato Economia Internazionale all’Università di Torino., ha pubblicato numerosi
saggi sull’industria globale ed è vicepresidente dell’Osservatorio sulle Economie Emergenti di Torino, Collegio Carlo Alberto.

Quando frequentavo il ginnasio, a Pinerolo, uno dei nostri insegnanti amava ricordare a noi ragazzi che per la guerra si parte spesso con entusiasmo, tra canti e bandiere al vento. Dopo qualche giorno però si scopre con stupore una semplice quanto ignorata verità: anche gli altri sparano. Che sia vero anche per le guerre commerciali? In queste guerre si combatte a colpi di dazi, tariffe, quote, embarghi, sanzioni, minacce e ritorsioni, brevetti e spionaggio industriale. Il nemico di oggi, la Russia, è un ex-impero economicamente sfibrato e indebolito, che ha vissuto un epocale tracollo sociale e demografico; ma quello di domani, la Cina, è la potenza economica emergente, in grado di sfidare l’egemonia degli Stati Uniti sul terreno economico e tecnologico. Quella guerra sarà molto più dura.

C’è chi continua a parlare di “neoliberismo”, come generico sinonimo di globalizzazione o di capitalismo. Tuttavia, è stato piuttosto il ritorno di politiche neomercantiliste ad accompagnare, negli ultimi anni, la crisi della globalizzazione dell’economia, la sua frantumazione e ricomposizione. Quella del mercantilismo è una visione conflittuale dell’economia. Il protezionismo ne è un’arma, e gli scambi commerciali internazionali sono visti come un gioco a somma zero, una torta da dividere, in cui i guadagni dell’uno sono le perdite dell’altro. Guerra commerciale e guerra militare diventano un intreccio infernale.
L’esperienza prevalente dei decenni compresi tra il 1980 e il 2020 è stata quella di una globalizzazione economica, facilitata dalle nuove tecnologie e sostenuta da politiche di liberalizzazione e privatizzazione, sotto l’egemonia statunitense. Attori e aree dell’economia mondiale erano più interconnessi ma conservavano identità diverse e potenzialmente conflittuali. A esempio, il “capitalismo asiatico”, in cui lo Stato gioca un ruolo centrale, è diverso da quello anglosassone (dominato dalla finanza) o da quello sociale scandinavo; e ancor più lo è il capitalismo misto (statale e privato) cinese*.

Chi sono stati i vincitori della globalizzazione? Da un lato i grandi investitori internazionali e le imprese multinazionali, dall’altro le potenze economiche emergenti, in particolare Cina e India, che hanno accresciuto il loro potere economico grazie all’accesso ai mercati globali.

Con la crisi della globalizzazione ritorna con forza il nazionalismo economico. Volendo coglierne un’immagine, pensiamo all’11 marzo 2018, quando Donald Trump sotto i riflettori firma il decreto sui dazi contro l’importazione di acciaio e alluminio cinesi, circondato da una dozzina di operai in tuta da lavoro, alcuni con l’elmetto sotto il braccio. La guerra commerciale era lanciata. La svolta protezionista e aggressivamente neomercantilista di Trump (sostanzialmente non rinnegata dall’amministrazione Biden) può essere considerata il secondo atto in cui si dipana la crisi dell’economia globale. Il primo atto si era svolto nel 2008-2010 con la Grande Crisi e il suo impatto recessivo globale, con lo Stato chiamato a salvare il salvabile.
Il terzo atto si svolge nel 2020-2022 con la crisi pandemica, che disarticola le forniture e le reti produttive internazionali. Ritorna l’economia della penuria e dell’insicurezza (dai vaccini ai microchip ad alcune materie prime). Un quarto atto si apre nel 2022 con la guerra russo-ucraina e le sanzioni occidentali, l’ulteriore frattura nell’economia globale, una crisi energetica in Europa e impulsi recessivi su scala internazionale.

Nella prospettiva storica della crisi della globalizzazione si colloca anche l’impatto della guerra in Ucraina sull’economia piemontese e del Pinerolese, nel quadro italiano ed europeo. Dalle informazioni e testimonianze raccolte in questo dossier emergono effetti finora tutto sommato non dirompenti, ma significativi su alcuni flussi commerciali e sui costi di produzione in alcuni settori, come l’agricoltura, l’allevamento e l’industria alimentare.
Emergono inoltre altre dimensioni, accanto a quella strettamente economica, dallo sport all’accoglienza, agli scambi culturali e ai gemellaggi, messe a dura prova dall’ondata minacciosa dei nuovi nazionalismi che vorrebbero dividere il mondo tra un Noi (che incarna il bene) e un Nemico (che incarna il male). Lavoriamo perché al contrario le vie del dialogo non si chiudano.

* G. Balcet, «Mercato e potere: il male nell’economia», Atti del Convegno Sappiamo ancora riconoscere il male? (Torino, 5-7 maggio 2022), in corso di stampa.