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Leader evangelici condannano le violenze in Perù

Dopo il fallito golpe di Pedro Castillo per chiudere il Congresso e l’assunzione della presidenza da parte di Dina Boluarte, nel sud del Perù si sono verificate una serie di proteste che hanno provocato più di 60 morti, tra manifestanti e membri della polizia, oltre a danni a proprietà pubbliche e private. Una situazione che si protrae da oltre quasi due mesi e che ha portato alla luce le richieste storiche della popolazione più esclusa e trascurata del Paese. Il sito Alc Noticias ha interpellato alcuni leader evangelici in Perù sulle implicazioni etiche della crisi politica.

«Abbiamo raggiunto un collasso sociale – afferma il pastore metodista Rafael Goto – . La crisi che il Perù sta vivendo ci mostra un Paese che si confronta con la discriminazione e il disprezzo per i più poveri. Ancora una volta, sono in gioco due modi di vedere la società. Da un lato, i poteri politici fanno rivivere mentalità storiche colonialiste e oppressive. D’altra parte, la popolazione esclusa continua a resistere per spezzare la catena di emarginazione e disprezzo».

Efraín Barrera, direttore dell’Asociación Educativa Teológica Evangélica– Aete, sostiene che la crisi ha portato alla luce l’altra violenza di cui si parla poco e che ci ricorda la denuncia del profeta Abacuc: «Guai a chi moltiplica ciò che non è suo, guai a chi brama un guadagno ingiusto, guai a chi costruisce la città con il sangue. Proprio le regioni che mantengono la loro protesta nelle strade del nostro Paese sono le più impoverite e chiedono maggiore equità e giustizia».

Vari pastori di tutte le denominazioni evangeliche peruviane hanno inoltre prodotto un testo che riproduciamo qui di seguito:

«Esprimiamo le nostre condoglianze alle famiglie delle vittime per l’irreparabile perdita dei loro cari e condividiamo le loro richieste di sostegno immediato, verità e giustizia.

Affermiamo che la violenza è riprovevole in tutte le sue forme e nulla giustifica la risposta sproporzionata e criminale dello Stato, né l’attacco a tradimento contro i funzionari pubblici nell’esercizio delle loro funzioni. L’assassinio di civili nell’esercizio del loro diritto di protesta, come quello di un poliziotto che svolge la sua missione, sono ugualmente dolorosi, esacerbando l’odio e la violenza che noi rifiutiamo.

Chiediamo un sostegno immediato alle famiglie delle vittime e un’indagine rapida e indipendente, da parte o con il sostegno di organizzazioni internazionali, che assicuri il diritto alla verità e garantisca che i crimini non resteranno impuniti.

Chiediamo alle autorità governative di assumersi le proprie responsabilità politiche e penali, di scusarsi con le vittime e di correggere la rotta adottata, sulla base della verità, della tutela dei diritti e della giustizia.

Riaffermiamo il nostro impegno per la costruzione di un Paese in cui compassione e verità si incontrino, in cui la pace sia il frutto della giustizia, e per un nuovo patto sociale in cui la difesa dei diritti di tutti, e soprattutto dei più esclusi, sia una realtà».

Foto di Mayimbú