a25c5b_2355820680fa4ca6a7bc847365d8167emv2

L’ultimo viaggio del partigiano Cesare Alvazzi

Di Cesare Alvazzi giovane rimangono innanzitutto le vivide pagine del “Diario partigiano” di Ada Gobetti, che spesso annota su di lui, amico inseparabile del figlio Paolo. Ada nella Resistenza operava tra Torino e Meana di Susa, e operava – ricorda Cesare, che fu sempre molto legato a lei e alla sua famiglia – “come un generale: aveva una rete di collegamento, prendeva decisioni e le coordinava”. Già dopo il 25 luglio del ’43, Cesare aveva cominciato l’attività antifascista a Oulx “il paese dove sono nato e che amo moltissimo. Andavamo in un gruppetto a cancellare le scritte fasciste”, e poi nel novembre ’43 c’è quello che lui chiamava “la mia entrata in campo”, annotata nel Diario da Ada: “Ci aiuterà nella zona di Oulx, ch’è la peggiore della valle per i suoi elementi fascisti. S’apre così un nuovo campo d’attività”.

“Si è fatto scoppiare la bomba in mano…”
I giovani iniziano a recuperare le armi, e mentre Cesare smonta da certi proiettili i detonatori utilizzabili per le bombe a mano, uno scoppia, e gli deformerà l’arto: l’episodio è annotato da Ada il 5 maggio del ’44: ”Stamane sul treno ho incontrato Cesare con tutt’e due le mani fasciate e la faccia bucherellata, che andava a farsi medicare all’ospedale. Suo padre, che l’accompagnava, era furioso: ‘Non è più un bambino’ diceva ‘e alla sua età potrebbe capire che non si debbon toccare gli ordigni che non si conoscono. Invece lui va a pescare nella Dora, trova una specie di bomba e se la fa scoppiare in mano’.” Certamente il padre, Alessio- presidente della Corte d’Appello di Torino,[1] che Sandro Galante Garrone ricorda ne “I miei maggiori“ – in questo modo cercava di proteggere il figlio…
Dopo questo episodio, Cesare a luglio decide di raggiungere i partigiani in montagna, accompagnato dal padre, valente alpinista, che gli disse: “ Se avessi la tua età, farei come te. ”E il 9 settembre del 1944 Ada scrive, di lui e del figlio Paolo, compagni di lotta in Val di Susa: “Questi ragazzi hanno proprio lavorato presto e bene’. Si sono trovati una sede, non troppo comoda a giudicare dalle descrizioni, ma abbastanza sicura, nel Gran Bosco tra Salbertrand e Oulx; sono andati a cercar personalmente uno per uno i partigiani dispersi, li hanno riuniti e organizzati. Praticamente il gruppo è costituito; le armi son sufficienti; i rifornimenti alimentari, trattandosi di elementi locali, non si presentano troppo difficili. Ampie prospettive d’azione si aprono dinanzi a loro.”

Inverno ’44, nascosto in una baracca nei boschi
Infatti, nell’estate de’44 c’era stata la terribile “Operazione Nachtigall” attuata dall’esercito tedesco, e i partigiani, sconfitti, avevano ripiegato, e si erano concentrati in Val Troncea. Molti si erano dispersi, e la formazione degli Autonomi di Marcellin si era sciolta. “Io sono tornato a Meana, da Ada Gobetti – racconta Alvazzi in un ‘intervista[2] – e siamo poi partiti, con Paolo Gobetti, Paolo Spriano (“Pillo”) e Alberto Salmoni (“Alberto”) verso l’alta Val Susa. Avevamo così formato un gruppo GL: tuoni e fulmini! Ho subito ricevuto un biglietto da Marcellin tramite portaordini ‘al tenente Alvazzi’, che perentoriamente mi invitava a tornare nella sua formazione. E così sono rimasto con gli Autonomi.” E passa il famoso inverno del ’44, resistendo agli inviti degli Alleati per convincere i partigiani a lasciare, nascosto in una baracca nei boschi. “Cesare” (questo anche il suo nome di battaglia) poteva circolare, tenendo i collegamenti, ad esempio con Giaveno, dove c’era il gruppo partigiano di Eugenio Fassino, o quello dei fratelli Nicoletta. Infatti, non era considerato renitente alla leva (era dell’11 luglio 1926, ed erano stati chiamati al servizio militare solo i giovani del primo semestre), e inoltre risultava occupato, come segretario di un cugino notaio, e poi, vinto un concorso, come radiotecnico in ferrovia, a Porta Nuova.

L’arresto nel marzo del ’45
Ma a Torino viene arrestato, il 13 marzo del ’45: “E per completare la giornata – scrive Ada in quel periodo difficile – ecco la notizia che Cesare è stato arrestato e si trova al Sitea, quartier generale delle SS. Sono stanca e arrabbiata con tutti. Vorrei addormentarmi e non svegliarmi più.” Tutti gli amici, la famiglia, il padre Alessio si mobilitano per tirarlo fuori, e Cesare se la cava “facendo il fesso”: “Mi hanno preso per uno studentello di buona famiglia, e mi hanno cacciato via. Io ho preso il treno e sono tornato a Oulx, e di lì, il giorno dopo, ho preso il sacco e sono tornato coi partigiani.”
Viene quindi incaricato di una “missione in Francia” per il collegamento con gli Alleati (che gli varrà il riconoscimento della decorazione dell’esercito francese con “Croix de guerre, etoile de bronze”: “Eravamo ancora in piena guerra – ricordava – era l ‘aprile del ’45. I francesi mi chiesero di guidare un loro plotone fino al confine. Quando siamo giunti sul versante italiano, era il 26 aprile, sentimmo l’eco degli spari nella valle. I tedeschi si stavano ritirando, e nella notte abbiamo combattuto. Noi avevamo il compito di evitare che facessero saltare ponti, strade, ecc.: siamo entrati in Exilles liberata. “E qui c’è l ‘episodio da lui sentito raccontare più volte: “Ero l’unico che guidava la macchina, e sono stato io a dover portare un alpino della Monterosa, caduto in combattimento, fino a Varese, insieme al suo povero padre, perché potessero seppellirlo”.

Il ricordo dei compagni caduti
Questo aspetto della pietas di Cesare – amico poi di Giorgio Bouchard e mio, insieme alla sua compagna di vita e di ideali Elena Ottolenghi, per tanti anni partecipi alla “giornata gobettiana” di Meana, con Carla Gobetti e Bianca Guidetti Serra – l’ho potuto verificare nella visita al cimitero di Oulx, dove le sue ceneri ora saranno deposte nella tomba di famiglia, contrassegnata da una semplice croce e la scritta Requiescunt – : in uno spazio di semplici tombe, sono sepolti quattro partigiani della Brigata Monte Assietta, quella che lui comandava: “Me ne sono occupato io, con la sezione Alpini di Oulx di risistemare le piccole lapidi; – mi disse con tenerezza, guardando le scritte – sono morti in luoghi diversi”.
Appartiene alla sua tenerezza il compito a cui assolveva di anno in anno, verificando sugli annunci mortuari quando c’era indicato “partigiano”- : andava con la sua divisa e il suo cappello alpino a portare lo stendardo dell’Anpi, di cui era presidente provinciale onorario, al funerale di questo patriota sconosciuto, perchè la sua memoria fosse onorata.
E alla sua cura per la memoria si deve l’iniziativa della cerimonia al Sestriere, che di anno in anno avviene nell’ultimo sabato di agosto, per ricordare tutti i caduti delle diverse formazioni partigiane che operarono nella Resistenza in val Chisone, val Germanasca e Valsusa: Garibaldini, Autonomi, Giustizia e Libertà. E fino alla fine, ultraottantenni, vidi arrampicarsi agilissimi sul palco a fare l’orazione ufficiale lui e Ettore Serafino, che con modestia Cesare chiamava “il mio comandante”: capo della brigata autonoma “monte Albergian”, e poi, nell’unificazione con tutta la val Chisone e i GL della Vl Germanasca, comandante della 44a Divisione intitolata al fratello Adolfo Serafino, ucciso il 4 novembre del ’44 nella strage di Cantalupa, medaglia d’oro.
E’ stata un’incredibile ricchezza averli conosciuti.

Le esequie avranno luogo oggi mercoledì 18 gennaio alle ore 14,35 presso il Tempio Crematorio del Cimitero Monumentale di Torino.

Note

[1] Piera Egidi Bouchard “Alessio Alvazzi Del Frate- ‘Honeste vivere’, Claudiana, Torino, 2011
[2] Piera Egidi Bouchard “…Eppur bisogna andar…- Testimoni della Resistenza”, Claudiana, Torino, 2005

Per gentile concessione del sito www.laportadivetro.com