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C’è bisogno di preghiera

Una recente ricerca, promossa dalla Chiesa d’Inghilterra ed effettuata dalla Savanta ComRes su un campione di 2073 britannici, pubblicata nei giorni scorsi, mostra che i giovani tra i 18 e i 34 anni pregano più degli over 55. La notizia è stata data dalla stessa Chiesa anglicana in un comunicato stampa, e ripresa da diversi giornali, dal Guardian al Telegraph, al Daily Mail, oltre che da siti di informazione di chiese.

Il risultato del sondaggio (condotto online nei giorni 1-3 luglio di quest’anno, da una delle società di sondaggi più note del Regno Unito, membro fondatore del British Polling Council) sembra sfatare almeno in parte la convinzione che i giovani siano ormai “scristianizzati”, anche se le cifre ridimensionano in parte l’entusiasmo: il 56% degli intervistati dichiara infatti di avere pregato almeno una volta nella vita, e di questi il 32% lo ha fatto nell’ultimo mese. Certo, queste percentuali scendono rispettivamente al 41% e al 25% per gli over 55, con una differenza piuttosto netta tra le due fasce d’età. 

Nel complesso del campione, ha rivolto almeno una preghiera poco meno della metà (48%), e il 28% lo ha fatto nell’ultimo mese. I motivi della preghiera sono quelli che ci si può facilmente immaginare: intercessione per amici o familiari (69%), persone malate (54%) ma anche preghiere di ringraziamento (51%).

Commentando i dati, alcune personalità anglicane hanno osservato (si legge nel comunicato), come il rev. Stephen Hance, direttore nazionale per l’evangelizzazione e la testimonianza della Church of England, che questi risultati mettono in dubbio l’assunto dato troppo spesso per scontato per cui i giovani non sono interessati alla fede o alle questioni spirituali: altre pratiche di meditazione possono essere molto popolari, ma la preghiera ha ancora un ruolo significativo, in un contesto di grande incertezza e preoccupazione come quello attuale. La questione è, quindi: se nei giovani c’è questo interesse per la preghiera, perché sono sottorappresentati nelle chiese? Forse è il tipo di spiritualità offerta, che non corrisponde al loro modo di sentire?

«Ecco perché la Chiesa d’Inghilterra ha fatto, del coinvolgimento dei giovani, una delle massime priorità per il prossimo decennio», ha concluso Hance.

Gli ha fatto eco l’arcivescovo di York, Stephen Cottrell, secondo cui «i risultati del sondaggio mostrano che molte persone desiderano ancora quella connessione con qualcosa e qualcuno che va oltre se stessi. In questo momento di incertezze nel nostro mondo, in cui affrontiamo molte questioni urgenti come l’emergenza climatica, le guerre, la carestia, il carovita, raggiungere in preghiera il Dio che ci ama e che desidera essere conosciuto da noi può portare la pace e trasformare le vite. (…) Se i più giovani vogliono pregare, allora le nostre chiese siano luoghi dove la preghiera è insegnata e se ne fa esperienza».

E ancora, la rev.da Miranda Threfall-Holmes, già cappellana universitaria, coautrice insieme a suo figlio del libro The Teenage Prayer Experiment Notebook, commentando il sondaggio ha sottolineato che i giovani spesso hanno meno preconcetti rispetto alla fede cristiana: «Le persone dalla mia generazione in su sono state spesso educate in una cultura che insegnava loro che c’era un modo “giusto” e “sbagliato” di pregare, e questo significa che possono essere molto consapevoli riguardo alla loro spiritualità e vita di preghiera. Secondo la mia esperienza, i giovani adulti di oggi sono stati educati a sentirsi a loro agio con le domande e la sperimentazione: sanno che molte persone nel mondo pregano, e sono disposti a provarci da soli».

I dati della ricerca si possono trovare qui.