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Gli studenti ebrei espulsi nel 1938 tornano in classe

«La Memoria è la capacità di conoscere le cose, di riuscire a farne tesoro, di educare. Di andare oltre. Ma per farlo bisogna mettere dei picchetti forti. E quello di oggi mi sembra fortissimo».
È la riflessione che il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi ha affidato all’apertura di una giornata di testimonianza straordinaria: il ritorno in classe di otto ex studenti ebrei cacciati o esclusi dalle scuole con la promulgazione delle leggi razziste.

Era il 5 settembre del 1938. Esattamente 84 anni dopo gli otto Testimoni sono entrati in un’aula della Cittadella della pace di Rondine (Arezzo) per sedersi in mezzo ai 31 studenti che hanno scelto di frequentare il quarto anno delle superiori in questo centro d’eccellenza nell’educazione al dialogo e al confronto. Collegata a distanza all’iniziativa, promossa da Rondine insieme all’Ucei, l’Unione delle comunità ebraiche in Italia, anche una ex studentessa partecipe dello stesso destino di rifiuto ed emarginazione: Liliana Segre. Un segnale forte, ha proseguito Bianchi parlando di questo avvenimento, «anche nei confronti di coloro che, nel mondo, restano esclusi e dimenticati». Grazie quindi, il suo plauso, «a chi venne escluso ed è oggi portatore di inclusione». 

Temi elaborati dagli stessi Testimoni, accolti dal fondatore e presidente dell’organizzazione Rondine Franco Vaccari e dalla presidente dell’Ucei Noemi Di Segni, in un dialogo condotto dal vicedirettore di Repubblica Francesco Bei.

Ugo Foà, napoletano, ha spiegato come la sua fosse una classe numerosa: ben 41 studenti. «Nessuno però si è interessato a chi, come me, fu espulso. Come se fossimo scomparsi», la sua amarezza. Miriam Cividalli, fiorentina, ha portato una testimonianza sulla visita in città di Hitler nel maggio del ’38. Un evento avvisaglia rispetto ai crimini che sarebbero seguiti. Lello Dell’Arriccia, di Roma, ha esposto l’impegno di Progetto Memoria. L’associazione, che ha cooperato anche all’iniziativa odierna, si propone «di passare il testimone ai giovani, affinché mai più un governo possa appropriarsi della vita e della libertà degli individui». Fabio Di Segni ha invece raccontato la sofferenza della madre, residente a Verona e impossibilitata a iscriversi a una delle scuole alternative gestite dalle comunità ebraiche. «I numeri a Verona erano troppo piccoli per averne una», ha detto. A descrivere la realtà delle “scuole apartheid” è stato quindi il romano Claudio Fano. Nel suo intervento ha anche evidenziato alcuni paradossi legati alla questione dell’identità e ai certificati di battesimo “retrodatati” di cui alcuni disposero allora. Gianni Polgar, originario di Fiume, ha parlato dell’Italia come di un Paese «che non ha ancora fatto i conti con la storia». Mentre Carla Neppi Sadun, di Ferrara, si è soffermata su alcune umiliazioni inflittele dal sistema fascista e dai suoi sgherri. Altro tema rilevante quello del “dopo”, introdotto dal romano Nando Tagliacozzo: «Al ritorno nelle scuole – la sua accusa – nessuno ci ha chiesto niente».

A rievocare quel drammatico 5 settembre è stata poi Liliana Segre. La sofferenza dei suoi cari nel motivarle l’espulsione, la sua reazione di incredulità, la freddezza dimostratale da una sua insegnante. Ferite incancellabili. Ferite, anche, dell’indifferenza. «Ma Rondine non è indifferente. La scuola dell’inclusione è il contrario di chi ti fa trovare la porta chiusa», il messaggio della senatrice a vita.

«L’Italia intera, a partire da quel giorno, fu depauperata di esseri umani, di saperi e di conoscenze», l’annotazione conclusiva della presidente Di Segni. Un invito ai ragazzi a fare Memoria di quel tragico passato ma anche ad approcciarsi, con interesse e curiosità, «alla storia millenaria e ai valori» dell’ebraismo.

Tratto da Moked.it