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Cec. Cosa succederà a Karlsruhe

800 delegati delle chiese membri da tutto il mondo, altri 500 tra osservatori, ospiti e credenti di varie religioni, oltre 300 studenti e volontari. Sono questi solo alcuni dei numeri dei partecipanti – in totale più di 1500 persone in ciascuna giornata – al prossimo summit del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec), che si aprirà tra pochi giorni, il 31 agosto, a Karlsruhe, in Germania.

Di cosa si tratta? Dell’undicesima Assemblea del Cec, un “Raduno di fede e di comunione” del massimo organo di governo del Consiglio ecumenico mondiale, che si riunisce di norma ogni 8 anni (l’ultima volta fu a Busan, in Corea del Sud, nel 2013). Che cosa fa? Elegge il Comitato centrale e i presidenti, stabilisce la direzione “politica” del Consiglio ecumenico delle chiese, elabora dichiarazioni pubbliche, rivede il lavoro del Consiglio, apporta eventuali modifiche a costituzione e regolamenti, decide le linee-guida sulle finanze. Le decisioni vengono prese con il metodo del consenso. Per le sue chiese membro, il Cec è, come spiega il pastore Michel Charbonnier, che sarà delegato a Karlsruhe ed è membro del Comitato Centrale del Cec, «uno spazio unico: uno spazio in cui possono riflettere, parlare, agire, lodare Dio e lavorare insieme, mettersi in discussione e sostenersi a vicenda, condividere doni e sfide, e discutere tra di loro e con la società civile». Il Cec è a sua volta «la più ampia e inclusiva tra le molte espressioni organizzate del moderno movimento ecumenico, un movimento il cui obiettivo è l’unità dei/delle cristiani/e».

I lavori quotidiani, in Germania, si articoleranno in diversi momenti: ci saranno pre-assemblee su donne e uomini, giovani, indigeni, persone con disabilità, una preghiera mattutina e una serale, cinque plenarie e riflessioni teologiche, gruppi di studio della Bibbia e di formazione, conversazioni ecumeniche, meeting confessionali e regionali, oltre che momenti più “istituzionali” e tecnici come le Commissioni, i report e le elezioni. Si terranno anche degli spazi “in stile social forum”, ovvero i Brunnen (letteralmente ‘fontana’, in tedesco), dove si svolgeranno workshop, mostre e attività culturali, performance.

Quale sarà la rilevanza di questo evento internazionale? «E’ un momento importante per la cristianità che è consapevole della necessità di lavorare insieme e avere luoghi, momenti, tempi in cui ci si incontra, ci si conosce e riconosce», dichiara il pastore Michel Charbonnier. «Sarà un modo per ricaricare le batterie spirituali. Per delle chiese molto piccole come le nostre italiane è importante ritrovarsi in un contesto con chiese diverse, di dimensioni differenti, per riconoscersi parte di una cristianità più grande e vedere che la tua voce è preziosa ed è ascoltata in quel contesto. Oltre alla parte decisionale, c’è una parte comunitaria importante, ci si incontra per scoprire o riscoprire una enorme diversità che è una ricchezza a livello di modi di essere chiesa. Questo è funzionale al ricaricare le suddette batterie. E sarà importante anche il confronto con tante Ong legate alle chiese, associazioni, reti che lavorano su diversi temi, dalla pace in Palestina e Israele, al diritto all’acqua, fino a quelli dei popoli apolidi…».

Quali aspettative prima dell’avvio dei lavori? «Sarà la mia terza assemblea e quindi parto sapendo che non sarà possibile seguire tutto ma che anche solo essere immersi in questo evento sarà di per sé un’esperienza unica ed un grande privilegio. Una parte importante sarà quella di networking, la possibilità di costruire nuove relazioni». Su molte istanze si troveranno delle convergenze e sarà cruciale il percorso condiviso: «piccoli passi ma fatti insieme».

Sul tavolo di Karlsruhe uno dei nodi più scottanti sarà inevitabilmente la guerra in Ucraina e in particolare le posizione espresse dal patriarca Kirill.

«La dichiarazione del Cec, a giugno scorso, sull’Ucraina pone la base per un lavoro più ponderato e potrebbe disinnescare il rischio di conflitti – spiega Charbonnier -. L’assemblea lavorerà quindi nella direzione dell’abbassare le armi, fisiche e non, cioè per non alzare il livello dello scontro anche in termini di diplomazia ecclesiastica. D’altro canto, occorre ricordare che le chiese ortodosse non sono monolitiche, si registra un dissenso interno come parallelamente nella politica c’è certamente una opposizione alla linea di Putin. In ogni caso, il comitato centrale, all’unanimità per consenso – dunque inclusi i delegati del patriarcato di Mosca – ha già ritenuto che il compito del consiglio non fosse quello di aumentare il livello dello scontro, come dicevo. Il compito dei cristiani è quello di lavorare per la riconciliazione e l’espulsione tout court di una chiesa – cosa che non è mai successa nemmeno verso le chiese durante l’apartheid in Sudafrica – ritengo sia una scorciatoia».

E la strumentalizzazione della fede? «Bisogna continuare a denunciarla e a costruire degli spazi contro questo utilizzo perverso della fede», conclude il pastore valdese.

Simone De Giuseppe, battista, pastore in prova nelle chiese di Gravina e Altamura, in Puglia, 30 anni, è invece alla sua prima esperienza come delegato all’Assemblea del Cec.

«Anche se sono un millennial, ritengo che la questione climatica, come ha già sottolineato anche Ioan Sauca, sia pregnante, per qualsiasi altro discorso. penso quindi che Debba avere un’enfasi particolare e mi aspetto delle prese di posizione forti su questo perché dal clima dipende il futuro, e ci siamo resi conto purtroppo dell’irreversibilità di quanto sta accadendo», dichiara De Giuseppe.

Dal punto di vista umano e personale il giovane battista è «emozionato nel poter condividere un consesso a livello così internazionale, un appuntamento globale che darà sicuramente un’occasione preziosa per la ricchezza di fedi e di esperienze, che ho in parte già avuto nei miei studi teologico presso l’istituto ecumenico di Bossey, in Svizzera, centro proprio del Consiglio ecumenico delle chiese». Dunque un’occasione più unica che rara, quella in cui si riuniranno «oltre 4500 persone, in un momento storico come questo, in cui si sta vivendo in Europa, particolarmente significativo. Sarà un momento in cui chiederci davvero “Quale Europa vogliamo costruire?” Mi piacerebbe che il tutto non fosse fatto in  chiave eurocentrica – conclude De Giuseppe – , c’è un rischio neocoloniale di vivere la cristianità con un’ottica autoreferenziale che va superata. Guardiamo ai tanti sud del mondo, partiamo dalle esigenze di popolazioni e territori che patiscono in modo più sentito lo stile di vita occidentale, ascoltiamo le voci degli oppressi. A partire dalle voci che saranno presenti a Karlsruhe. Mi auguro realmente, visto anche il percorso già intrapreso dal consiglio ecumenico in questa direzione, che si riesca a dire ‘no’ alla trappola dell’eurocentrismo».


Il Cec riunisce chiese, denominazioni e associazioni ecclesiali in più di 120 paesi e territori in tutto il mondo, rappresentando oltre 580 milioni di cristian* e includendo la maggior parte delle chiese ortodosse del mondo, le chiese anglicane, battiste, luterane, metodiste e riformate, nonché molte chiese unite e indipendenti. Mentre la maggior parte delle chiese fondatrici del WCC erano europee e nordamericane, oggi la maggiorparte delle chiese membro si trova in Africa, Asia, Caraibi, America Latina, Medio Oriente e Pacifico. Attualmente le chiese membro sono 352.


 

Per approfondire:

“Verso Karlsruhe. In nome della giustizia climatica”

“CEC. Verso l’Assemblea nella consapevolezza del valore di un organismo globale”, da Riforma

Tutti i materiali qui: www.oikoumene.org


Karlsruhe. Foto di Mohamed Amine Ben Haj Slama, unsplash