flickr_-_israel_defense_forces_-_idf_forces_leave_gaza

Tacciano le armi

Nei giorni scorsi è stato reso pubblico un appello (Tacciano le armi e si cerchino le vie politiche del dialogo), redatto da ebrei italiani impegnati nel sostegno a una soluzione del conflitto israelo-palestinese fondato sul principio di «due stati per due popoli» e preoccupati per lo stallo dei negoziati fra le parti paralizzati dal 2014. L’appello è stato sottoscritto da oltre 300 persone, sensibili alle vicende di quella parte del mondo, relegate in secondo ordine dalla catastrofe umanitaria in Siria, dalla frantumazione degli stati nel Medio Oriente e dal terrorismo islamista.

Nelle ultime settimane il conflitto ha investito soprattutto la striscia di Gaza con le proteste di massa iniziate il 30 marzo scorso, fino a culminare il 15 maggio – il giorno della Naqba – in cui i palestinesi commemorano l’esodo di circa 700.000 profughi nel 1948. Al di là del costo immane in termini di lutti e sofferenze (oltre 100 palestinesi uccisi, moltissimi feriti), la mancanza di una strategia di lungo termine in ognuno degli antagonisti attanagliati in un conflitto nefasto sgomenta chi come noi partecipa empaticamente del dramma dei due popoli. Hamas non ha una strategia: per lungo tempo ha condotto da Gaza un’inutile guerra di guerriglia che ne ha esposto gli abitanti alle ritorsioni di Israele e non ha abdicato, nel suo settarismo ideologico, al principio del rifiuto dell’esistenza di Israele. L’antagonismo con Al-Fatah permane; al fallimento dell’accordo l’Autorità palestinese ha reagito imponendo sanzioni alla stessa Gaza che hanno esacerbato le sofferenze della popolazione, la cui condizione economica, energetica, ambientale e sanitaria, è drammatica. Hamas ha fagocitato e usato contro Israele proteste inizialmente non-violente. Una parte rilevante dei morti dei giorni scorsi erano, secondo Israele ma anche secondo Hamas che ne ha vantato l’identità, militanti armati; in particolare, un suo dirigente ha affermato che 50 delle 62 vittime negli scontri del 15 maggio erano membri del movimento.

Quale strategia persegue Israele? Dovrebbe trattare con Hamas? Forse è stato un errore fissare condizioni troppo cogenti nel 2007, al momento della presa del potere da parte di Hamas, per negoziare con esso; oggi però sarebbe un gesto offensivo verso l’Anp, nonché verso paesi vicini e amici come l’Egitto e la Giordania. Mantenere il blocco terrestre e navale imposto alla striscia? È lecito che Israele imponga restrizioni all’ingresso di beni e materiali per scongiurare il loro uso per produrre armi o costruire tunnel sotterranei da cui penetrare nel territorio di Israele, ma perché non consentire a lavoratori di entrare in Israele per lavorare e agli studenti di lasciare la Striscia per studiare altrove? Perché non consentire alle piccole imprese manifatturiere di esportare merci in Cisgiordania e in Israele al fine di generare un minimo di sviluppo economico e dare stimolo a una classe imprenditoriale disposta a un futuro di coesistenza pacifica con Israele?

Con Il ritiro di Israele nel 2005 Gaza poteva costituire un embrione di stato palestinese, sebbene necessitasse per diventarlo degnamente di un legame fisico e politico con la Cisgiordania e di luoghi di transito aperti. Così non è stato. I palestinesi ne portano responsabilità. Ma Israele molto poteva fare per alleviare le condizioni materiali della popolazione. Insomma il disastro di queste settimane non è una calamità naturale, poteva essere previsto e forse evitato. Le azioni militari al più agiscono da deterrente nel breve periodo, ma mietono vittime civili e rafforzano la fascinazione degli estremisti fra i palestinesi. Gli stessi vertici dell’esercito insistono perché Israele concorra alla ricostruzione, dopo le devastazioni subite nella guerra del 2014, contenendo l’accumularsi di frustrazione e rabbia, collaborando a tal fine con la Banca mondiale e paesi donatori. Infine, come ha affermato Mossi Raz – deputato del Meretz, partito della sinistra: «I palestinesi hanno il diritto di manifestare e Israele ha il diritto-dovere di disperdere manifestazioni violente… Ma è vietato usare armi da fuoco ed è nostro obbligo morale evitare un’ulteriore escalation» . Ma occorre unire a ciò «la fine del blocco imposto alla striscia, accordare permessi di lavoro in Israele agli abitanti di Gaza oppressi da disoccupazione e miseria, trattare con i palestinesi per porre fine alle violenze e riattivare la trattativa per una soluzione a due Stati che includa la Striscia di Gaza come soggetto-oggetto nel quadro negoziale».

Ecco il testo integrale dell’appello:

«Israele oggi assomiglia più a una fortezza che non a una casa», ha detto David Grossman aprendo, tre settimane fa, una cerimonia congiunta di commemorazione delle vittime del conflitto, israeliane e palestinesi, a Tel Aviv, in ebraico e in arabo.

In queste ore a Gaza sangue si aggiunge a sangue. Condividiamo il dolore per le vittime palestinesi.

Noi sottoscritti, sostenitori del diritto di Israele ad esistere come Stato entro confini legittimi, sicuri e riconosciuti, e ugualmente di quello dei palestinesi ad uno Stato indipendente, guardiamo con estrema preoccupazione alle prime conseguenze, letali per le prospettive della pace, dello spostamento dell’ambasciata americana a Gerusalemme da parte dell’amministrazione Trump.

Non possiamo tacere di fronte all’uso sproporzionato della forza da parte di Israele. L’uso di armi da fuoco contro civili è ammissibile soltanto se detti civili partecipano direttamente ad azioni ostili, non se varcano o cercano di superare la frontiera con Israele. Vi sono mezzi non letali per contenere e disperdere proteste anche di massa.

Condanniamo la retorica fondamentalista di Hamas che non abbandona il rifiuto di Israele né desiste da una guerra di guerriglia che espone la gente di Gaza alla rappresaglia di Israele.

Chiediamo, soprattutto, che tacciano le armi e si cerchino ora e per il futuro, da parte di tutti, le vie politiche del dialogo, della conoscenza reciproca e della pace in tutta la regione».

Roberto Della Seta, David Calef, Bruno Contini, Donatella Di Cesare, Anna Foa, Carlo Ginzburg, Lisa Ginzburg, Wlodek Goldkorn, Giorgio Gomel, Helena Janeczek, Gad Lerner, Simon Levis Sullam, Laura Mincer, Roberto Saviano, Susanna Terracina, Alessandro Treves, Edith Bruck, Stefano Levi Della Torre.