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Due milioni di rifugiati. Non è fantascienza

«L’anno prossimo più di due milioni di rifugiati avranno bisogno di reinsediamento, secondo il Projected Global Resettlement Needs Assessment (previsione di stima per il fabbisogno di reinsediamento) per il 2023, reso pubblico ieri dall’Unhcr, Agenzia Onu per i Rifugiati. Si tratta di un aumento del 36% rispetto al fabbisogno del 2022, che riguarda 1,47 milioni di persone. L’aumento è da attribuirsi all’impatto umanitario della pandemia, al protrarsi di molte crisi di rifugiati, e all’emergere di nuove situazioni di esodi forzati nel corso dell’ultimo anno», si legge sul sito dell’Unhcr.

La maggior parte del fabbisogno «si concentrerà – si legge ancora – nei paesi di primo asilo nel continente africano; si stima che circa 662.012 rifugiati accolti in quei paesi avranno bisogno di reinsediamento. A seguire ci sono i paesi del Medio Oriente e del Nord Africa (463.930) e la Turchia (417.200). Per paese di origine, i rifugiati siriani (circa 777.800) rappresentano la popolazione con il più alto fabbisogno globale di reinsediamento per il settimo anno consecutivo, visto che la crisi siriana rimane la più grande crisi mondiale per numero di rifugiati. Si stima che i rifugiati dall’Afghanistan (costretti a fuggire durante varie fasi della turbolenta storia del paese) siano al secondo posto per necessità di reinsediamento a livello globale (intorno al 14%, o circa 274.000 persone). Subito dopo vengono i rifugiati della Repubblica Democratica del Congo (10%, o 190.400 persone circa), del Sud Sudan (117.600 persone) e Myanmar (più di 114.000 persone, costituite in larga parte da Rohingya apolidi). Il reinsediamento, che comporta il trasferimento dei rifugiati da un paese di asilo a un paese terzo che abbia acconsentito ad accoglierli e a concedere loro il diritto di insediarsi, è disponibile solo a una minuscola percentuale dei rifugiati di tutto il mondo».

Durante il picco della pandemia nel 2020, ricorda l’Unhcr, i reinsediamenti di rifugiati sono crollati al minimo storico, «con solo 22.800 partenze. Nonostante le partenze siano quasi raddoppiate nel 2021 per arrivare a 39.266».

L’Unhcr fa dunque appello agli stati perché contribuiscano a ridurre il divario tra il numero di coloro che necessitano di reinsediamento e i posti disponibili e chiede «agli Stati impegni affidabili e pluriennali sui reinsediamenti. Che le quote di reinsediamento prevedano flessibilità, in modo che i posti siano assegnati in base alle emergenze e al fabbisogno urgente nel mondo. Che gli Stati velocizzino le procedure di reinsediamento e gli accordi per le partenze, e rafforzino le loro capacità di ricezione e disbrigo delle procedure in modo sostenibile».

Il reinsediamento, ribadisce infine l’Organizzazione delle Nazioni Unite, rimane uno strumento salvavita per garantire la protezione delle persone più a rischio o con esigenze specifiche che non possono essere soddisfatte nel paese in cui hanno cercato asilo. Di tutti i rifugiati proposti per il reinsediamento dall’Unhcr l’anno scorso, il 37% erano persone con necessità di protezione fisica e legale, il 32% erano persone sopravvissute a violenze e/o torture e il 17% erano donne, adolescenti e bambini a rischio.