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Un bambino degli anni ’50 di fronte agli interrogativi della fede

Io sono arrivato a Milano nel 1950 con la mia famiglia. Ero piccolo, avevo due anni, ma ho chiari ricordi di quella grande città in cui sono cresciuto. Per questo, quando ho visto che la Claudiana aveva pubblicato il libro di Giampiero Comolli su un bambino milanese negli anni Cinquanta*, mi sono subito interessato e mi sono sentito partecipe di quella storia. Pensavo che l’autore raccontasse la città e i suoi abitanti. Ma mi sbagliavo. In realtà, Comolli parla del suo percorso di fede; ma nello stesso tempo, proprio perché parla di sé, amplia gli orizzonti, in quanto ognuno può leggere la propria storia e il proprio itinerario nei sentieri tracciati dall’autore. 

Naturalmente, la memoria ha ampia parte nel racconto e sono riportate situazioni e parole che hanno segnato l’animo del fanciullo. Si parla della scuola, dapprima presso le suore e poi in quella pubblica, si parla degli insegnamenti della nonna. Ma si va ancora più indietro, ai tempi in cui il bambino ancora non sa parlare e non sa distinguere le parole nei suoni che riceve. «La fede – scrive l’autore – nei suoi aspetti più originari e più reconditi, trae alimento da quel mondo perduto, si nutre di quel mondo, e in esso primariamente si sostiene». Anche il primo insegnamento della nonna trovava terreno fertile in «quel mondo ancora senza nome». Ma, mi sono domandato, è possibile andare così indietro con la memoria? Mi risponde Comolli: «Ho abbastanza familiarità con il mondo della memoria per riconoscere quelli che sono ricordi riportati e ricordi autentici (…). Solo andando o cercando di andare fino alle origini delle origini, si intuisce, si intravede qualcosa di inatteso sulle origini della fede infantile e forse anche della fede in sé. Si arriva fino a un sentire originario e fondante, misterioso e indomabile, come lo è in effetti l’incontro con Dio».

Quest’ultimo pensiero mi pare perfettamente raccolto in una sua esperienza, provata mentre si trovava d’inverno in montagna a sciare. Scrive: «In questo silenzio bianco e abbacinato, dove ogni altro colore sembra essere stato cancellato dalla terra – in questa pallida, pura solitudine, dove ogni parola rimane ammutolita – Dio c’è? Dio è lì a custodire la montagna bianca? O perfino Dio si è magari allontanato, per lasciare che la montagna si acquieti nella perfezione del suo assoluto biancore? (…). Avverto l’incombere di un tacere misterioso, che sorge e s’impone quando ogni parola è stata azzittita».

Leggere questa bella pagina mi ha fatto tornare alla mente l’episodio del profeta Elia sul monte Oreb. Anche Elia cercava Dio e voleva comunicargli tutta la sua inquietudine. E Dio si presenta a lui come «voce di silenzio sottile» – una voce che emerge dal profondo di ciascuno di noi e ci riporta anche ai tempi in cui Dio era accanto a noi in Cristo, anche se noi non potevamo ancora percepirlo. È allora che Elia potè uscire dalla caverna, dal grembo della terra dove si era nascosto, e ascoltare la parola che lo rimetteva in cammino. È, questa, una visione della vita spirituale e della fede che Comolli ha già espresso in altri suoi libri ed è frutto anche della sua frequentazione del vasto mondo delle religioni e che apre di fronte al lettore nuovi spazi solitamente non frequentati – e per questo assolutamente interessanti e produttivi.

Poi, accanto alla narrazione di queste esperienze, sono molto belle e gustose le descrizioni di certi aspetti del cattolicesimo di quegli anni, come l’episodio della catechista che mette in guardia i bambini perché non alzino lo sguardo al momento dell’elevazione dell’ostia, perché «vedrebbero Gesù in persona scendere dal cielo e infilarsi nell’ostia e morirebbero all’istante, fulminati». Esempi che farebbero la gioia di ogni polemista protestante. Però Comolli non giudica negativamente neanche quelle realtà che pure ha abbandonato, e si limita a segnalare che, una volta cresciuto, quella spiritualità e quella teologia non gli ha comunicato più nulla. Egli ha quindi iniziato un nuovo percorso di ricerca che non si accontentasse di accogliere una visione “mistica e primordiale di Dio, ma che includesse anche la figura fondamentale di Cristo. E questa ricerca lo ha fatto approdare, felicemente, alla Chiesa valdese.

* Giampiero Comolli, Memorie di un bambino in preghiera. Nell’Italia religiosa degli anni Cinquanta. Torino, Claudiana, 2021, pp. 288 

 

Immagine di De Biaggi: ponte Lambro anni ’50