dsc03870

Essere chiesa insieme: un cantiere ancora aperto

Nell’ambito dei lavori sinodali in corso a Torre Pellice, un ampio e partecipato dibattito è stato dedicato ieri al tema «Essere chiesa insieme» (ECI), progetto inteso a promuovere l’integrazione in una chiesa composta da nativi italiani e da persone provenienti da altri paesi.

Il Sinodo ha riconosciuto con gratitudine questo lungo percorso, cominciato ormai oltre venticinque anni fa, che si è caratterizzato nel tempo come un cammino arricchente ma anche faticoso verso una Chiesa inclusiva ed autenticamente interculturale.

L’intercultura, è stato sottolineato durante il dibattito, è una sfida complessa, fatta di alti e bassi, in cui si vedono da un lato i frutti maturi delle relazioni con fratelli e sorelle provenienti da altri paesi e culture, e dall’altro alcuni nodi ancora da sciogliere (l’ermeneutica biblica; la rappresentanza nelle sedi decisionali; le questioni etiche; il tema dell’autorità). Le esperienze fin qui fatte testimoniano che si è di fronte ad una situazione “magmatica” nella quale le chiese valdesi e metodiste non sono sole. Alcuni interventi hanno infatti messo in luce che la sfida dell’intercultura è condivisa da altre chiese della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei) che in questi anni si sono scoperte essere preziosi laboratori di integrazione dove, in una società che ancora fatica a mettersi in questa prospettiva, si sperimenta come la fede abbatte le barriere del pregiudizio, e si cerca di garantire a tutti e tutte la stessa cittadinanza spirituale.

Essere chiesa insieme è ancora un cantiere aperto nel quale è importante lavorare in rete, provando ad investire maggiori risorse. In quest’ottica va letto l’incoraggiamento che – nell’ordine del giorno approvato ­– il Sinodo dà mandato alla Tavola valdese «di portare avanti, in collaborazione con Circuiti, Distretti e Comitato permanente dell’Opcemi, un programma di formazione, già in fase di elaborazione e diretto a favorire un rilancio del percorso ECI». Il programma favorirà in particolare un lavoro di base nelle chiese locali, e si andrà ad affiancare agli utili strumenti finora messi in campo: il Laboratorio interculturale di formazione e accoglienza – LINFA (percorso di formazione rivolto ai membri impegnati delle chiese, sia originari dall’immigrazione sia italiani da generazioni) della Fcei, e il master in Teologia Interculturale, organizzato dalla Facoltà valdese di teologia.

Nel corso del dibattito è stata posta particolare attenzione al ruolo attivo che, nel processo di accoglienza e integrazione in atto nelle chiese, possono svolgere le “seconde e terze generazioni”. I giovani che sono nati in Italia, che studiano e lavorano nel nostro paese, possono essere “mediatori ideali” con le precedenti generazioni che hanno ancora un legame forte con la cultura di appartenenza, e relazioni con le chiese di origine. In questa cornice si inserisce la raccomandazione con cui si conclude l’ordine del giorno «di porre particolare attenzione a motivare le giovani generazioni all’assunzione di un ruolo attivo in tale percorso».

 

Foto di Samuele Revel