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Le armi sommerse

La sera del 20 luglio a Voghera Youns El Boussettaoui, 39 anni, è morto per un colpo di pistola sparato da Massimo Adriatici, assesore leghista alla Sicurezza del comune che, secondo alcune testimonianze e le sue stesse dichiarazioni, era solito girare armato per la città.

Sulla specifica dinamica dei fatti si esprimerà la giustizia, che al momento vede convalidato l’arresto di Adriatici per eccesso di legittima difesa. L’episodio ha però rinfocolato il dibattito pubblico sull’uso di armi in Italia, argomento spesso lasciato in disparte e forse abbinato più ad altri paesi (come gli Stati Uniti) che al nostro.

Giorgio Beretta, attivista di Opal (Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e le Politiche di Sicurezza e Difesa) e di Rete Italiana Pace e Disarmo smentisce, almeno in parte, questa visione. «C’è un problema molto grosso sulla facilità con cui si ottiene una licenza per armi in Italia» ha detto ai microfoni di Cominciamo Bene, su Radio Beckwith Evangelica. Questo, specifica, non vale per la licenza per difesa personale che ha l’assessore di Voghera, «che è molto difficile da ottenere, perché permette di portare le armi con sé in ogni momento. Ma ci sono poi altre tre licenze: quella per uso sportivo, per caccia e per nulla osta (ovvero, la possibilità di tenere un’arma in casa). Queste sono invece molto facili da ottenere: basta essere incensurati, non avere malattie psichiche, non essere alcolisti o tossicodipendenti. Dopo un breve esame, si può ottenere la licenza».

I problemi non si fermano qui. Ad esempio, manca un monitoraggio sistematico del fenomeno. «In Italia non sappiamo nemmeno quale sia il numero totale di possessori legali di armi. Ogni anno vengono diffusi alcuni dati dalla polizia di Stato: nell’ultimo rapporto vengono conteggiate un milione e 266 mila persone che hanno una licenza, ma non vengono riportate le licenze nulla osta. Secondo le associazioni che rappresentano i legali possessori di armi, questi sarebbero oltre i due milioni». Il totale, quindi, potrebbe aggirarsi attorno ai quattro milioni di persone: un numero molto più alto di quanto ci si aspetterebbe.

Non manca qualche considerazione rassicurante. «La gran parte degli italiani» dice ancora Beretta «è ben consapevole avere un’arma in casa rappresenta un pericolo più che una sicurezza. Questo è un fattore molto importante». Altri dati, però, sono molto più inquietanti. «Tra il 2017 e il 2019 ci sono stati in Italia 131 omicidi con armi legalmente possedute, a fronte di 91 omicidi di tipo mafioso e di 37 per furto o rapine. Quindi oggi in Italia è più facile essere ucciso da un legale detentore di un’arma che dalla mafia o da rapinatori. Un fatto che andrebbe scritto a lettere cubitali su tutti i giornali». E, ancora una volta, mancano i dati ufficiali, perché il Viminale non li pubblica. Li raccoglie invece Opal, perciò sono consultabili sul loro sito.

A preoccupare, in anni recenti, è anche la propaganda a favore dell’uso di armi. Alcune fazioni politiche spingono molto «sulla paura, sul ladro che entra in casa, sulla legittima difesa che è sempre legittima. Questo ha accelerato l’acquisizione di licenze, soprattutto di quella per uso sportivo, che permette di detenere tre pistole con caricatori da venti colpi, sei fucili automatici con caricatori da dieci colpi, oltre ad  un numero illimitato di fucili da caccia. Più della metà di chi la richiede non lo usa per fare effettivamente tiro sportivo, ma soltanto perché è la più facile da ottenere».

Se allora il problema è nelle stesse norme che regolamentano queste pratiche, forse è arrivato il momento per cambiarle. «Ho visto il tweet di Letta che dice “Basta armi ai privati”. Bene, ma attenzione: non facciamo slogan troppo generici. Entriamo nel merito della questione» racconta ancora Beretta. «Per esempio, ora per ottenere una licenza per armi non è necessaria una visita psichiatrica, che sarebbe invece necessaria per tutti. Lo vediamo in tantissimi casi di omicidi familiari, anche tra anziani, come chi uccide la moglie o i vicini di casa. Occorrerebbe anche un test tossicologico, perché oggi è sufficiente una autodichiarazione, una dichiarazione del proprio medico e una visita all’Asl simile a quella per la patente. Non c’è nessun test scientifico. Terzo: la licenza viene rinnovata ogni cinque anni». Ma «cinque anni sono un’eternità. Quindi, ci vorrebbero: test clinici, test tossicologici, rinnovo annuale della licenza».

«Soprattutto» prosegue Beretta, occorre «fare in modo che ogni licenza sia ricondotta alla sua ragion d’essere. Non è possibile che chi richiede la licenza per caccia di fatto poi possa detenere altri tipi di arma. Oppure, se chiedi la licenza per uso sportivo, potrai avere quel tipo di armi, e dovrai dimostrare di usarle per il tiro sportivo. In molti paesi, come la Germania, per mantenere la licenza devi provare di aver fatto almeno 18 sessioni di tiro nel corso dell’anno». Per quelle licenze, poi, dovrebbe essere vietata la conservazione di munizioni in casa, perché per il tiro sportivo non sono necessarie. E ancora: «Se tu hai la licenza per il cosiddetto nulla osta, quindi per la difesa abitativa o di un negozio, potrai avere solo quel tipo di armi, con quel tipo di munizioni, possibilmente di tipo non letale, così che possano essere usate per difendersi da un furto o una rapina, ma non per ammazzare un familiare. Quindi, le possibilità ci sono tutte. Non usiamo slogan: entriamo nel merito, guardiamo le cose una ad una».

Perché oggi, nel caso fosse necessaria un’ulteriore precisazione, i legali detentori di armi uccidono più della mafia e dei rapinatori.

 

Foto di St. Louis Circuit Attorney’s Office