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Ddl Zan. Diritti e libertà religiosa

Nel pieno susseguirsi delle centinaia di audizioni sul Disegno di legge Zan presso la Commissione giustizia del Senato, tra tentativi di ostruzionismo e convergenze tra gruppi parlamentari tese ad accelerare l’inizio dell’esame del provvedimento in Aula, è giunta nei giorni scorsi inaspettata la notizia della consegna di una Nota Verbale da parte della Segreteria di Stato vaticana, Sezione rapporti con gli Stati, all’ambasciata d’Italia presso la Santa sede, avente a oggetto rilievi critici sul testo appena richiamato. Uno strumento, quello della Nota Verbale, d’uso comune nelle relazioni diplomatiche tra Stati e che proprio in quanto tale colpisce per il significato che veicola.

Il piano d’interlocuzione scelto dalla Chiesa cattolica è quello giuridico formale dell’osservanza dei trattati internazionali o meglio, come si esprime la stessa nota, quello della garanzia del rispetto dei Patti lateranensi, «ai quali la stessa Costituzione Repubblicana riserva una speciale menzione». Non meno irrituale è la tempistica dell’intervento vaticano, che si inserisce nell’iter di approvazione della legge, fatto del tutto nuovo nella storia delle relazioni Stato-Chiesa, costellate sì da episodi di intervento nelle questioni legislative italiane, ma che con quest’ultimo evento incide più di altri sugli elementi connaturati alla sussistenza degli ordinamenti statali. Ci si riferisce all’indipendenza e sovranità dei rispettivi ordini, principio sancito dall’art. 7 Cost. e richiamato dallo stesso Accodo di revisione del 1984, cui l’evento in commento sembra fornire una nuova chiave interpretativa non condivisibile, tentando di interferire direttamente sull’esercizio della libera funzione legislativa del Parlamento e sul relativo sistema di controlli che l’ordinamento italiano, in quanto originario e indipendente, già possiede. Non sono state evidentemente ritenute sufficienti le prese di posizione già espresse su piano politico dalla Conferenza episcopale italiana (Cei) a scongiurare il rischio temuto dell’integrale approvazione del testo.

Com’è noto, il Ddl Zan si propone di introdurre misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità, per il tramite di una serie di integrazioni a disposizioni penali che già prevedono la punibilità dell’istigazione a delinquere e del compimento di atti di violenza per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa (artt. 604bis e 604ter c.p.). Tali misure prevedono inoltre l’estensione della “Legge Mancino”, principale strumento legislativo contro i crimini e l’incitamento all’odio e l’istituzione di una “Giornata nazionale di sensibilizzazione” sui temi indicati, per la promozione della cultura del rispetto e dell’inclusione, con l’organizzazione di attività anche nelle scuole.

È in particolare la criminalizzazione delle condotte discriminatorie a preoccupare la Segreteria di Stato, che individua in una tale introduzione il rischio di compressione delle libertà che il regime concordatario assicurerebbe alla Chiesa cattolica e ai suoi fedeli. Il riferimento è all’art. 2 dell’Accordo di revisione del Concordato del 1984, nella parte in cui è riconosciuta alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa e ai cattolici e alle loro organizzazioni la piena libertà di manifestazione del pensiero. La genericità della definizione di atto discriminatorio, si sostiene, comporterebbe il rischio di vedere punite ipotetiche forme di esercizio di un diritto di libertà.

In questa sede è sufficiente ricordare come la questione, già posta da più parti politiche alla Camera, ha condotto all’introduzione – non senza malumori da parte del movimento Lgbtq+ e non senza rischio di ambiguità – del cosiddetto emendamento “salva idee”, quella disposizione cioè che fa salve la libera espressione di convincimenti od opinioni e le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti. Circostanze, queste ultime, evidentemente non ritenute sufficienti a salvaguardare i diritti rivendicati dalla Chiesa cattolica.

Al di là di ogni valutazione sul significato da attribuire all’integrazione di casi di istigazione a delinquere, quella delle condotte discriminatorie è faccenda che proietta la discussione sul Ddl Zan in una dimensione internazionale. È noto il dibattito in corso nelle Corti americane in ordine al bilanciamento tra il diritto a non subire discriminazioni sulla base dell’orientamento sessuale e la libertà di coscienza e di religione. Si ricorderà il caso del pasticcere che si rifiutò per motivi religiosi di preparare una torta nuziale per una coppia gay e che ha visto le sue ragioni accolte dalla Corte Suprema.

Lo scontro in atto sul Ddl Zan sembra presagire uno scenario simile, con il rischio dell’invocazione dell’obiezione di coscienza ben oltre il suo portato e il richiamo alla libertà religiosa a difesa del diritto di manifestazione del pensiero in termini di legittime diseguaglianze. Un’accezione di libertà religiosa ben lontana dalla nostra sensibilità e che è tuttavia presente nel panorama nazionale e mondiale, in cui si annoverano apposite legislazioni a tutela del dissenso su base religiosa, di fondo non distanti dalle pretese vaticane in casa nostra. Non stupisce pertanto il richiamo compiuto dallo stesso Presidente del Consiglio al principio supremo di laicità dello Stato che tuttavia, va ricordato, nella sua versione “all’italiana” non comporta indifferenza dello Stato rispetto al fattore religioso, ma salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale. Come tale spazio di presenza pubblica delle religioni verrà negoziato, proprio a partire dal Ddl Zan, è questione su cui molto della libertà e uguaglianza in termini di diritti verrà deciso in questo paese.

 

Foto di Pete Linforth da Pixabay