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Fototessere 25: crescere a cavallo di due mondi

Proseguono gli incontri dialogati che Paolo Ricca realizza per Riforma : uomini e donne che hanno dei ruoli noti all’interno delle chiese evangeliche in Italia o nell’ambito ecumenico, ma anche persone che, pur non essendo conos ciute ai più, portano con sé un’esperienza di fede significativa per tutti e tutte noi.

Daniele Garrone è nato nel 1954 a Perosa Argentina (TO). Dal 1959 al 1967 è stato allievo delle Scuole ebraiche di Torino e nel 1973 ha conseguito la maturità scientifica. Ha studiato Teologia a Roma e Heidelberg, ed è pastore valdese dal 1983. Dal 1988 è professore di Antico Testamento alla Facoltà valdese di Teologia dal 1988; ha conseguito il Dottorato in Teologia all’ Università di Basilea e il Diploma della Scuola vaticana di Biblioteconomia. Attualmente è membro del Consiglio della Federazione delle chiese evangeliche in Italia.

Lei è professore di Antico Testamento presso la Facoltà valdese di Teologia in Roma. Come è nato in lei l’amore per la lingua ebraica e per il modo ebraico di vivere ed esprimere la fede?

«Con il senno di poi, nei nove anni trascorsi alle Scuole ebraiche di Torino, dall’asilo alla licenza media. Non ci pensavo più, ma tutto è ritornato con lo studio in Facoltà. Lì ho scoperto che l’essere cresciuto a cavallo di due mondi, quello ebraico e quello valdese, era un dono ricevuto, dunque un talento affidato, e quindi una vocazione…».

– È vero che più si conosce l’Ebraismo, più lo si ama, e che l’antisemitismo nasce in larga misura dall’ignoranza?

«Certamente l’antisemitismo si alimentata di ignoranza e di pregiudizi; la maggior parte di quelli che parlano male degli ebrei non ne ha mai incontrato uno, ma pensa di sapere tutto su di loro. Questo è possibile perché per secoli si è costruita e propagata una visione stereotipata e malevola dell’ebraismo ed essa si è radicata nei discorsi, anche in assenza di ebrei».

– Come spiega lei l’esistenza dell’antisemitismo, specialmente nella sua forma moderna?

«Credo che l’antisemitismo diffusosi in Europa in particolare nella seconda metà dell’Ottocento e nei primi tragici decenni del Novecento sia stato dettato da un visione antiliberale e funzionale a un ordine illiberale: gli ebrei emancipati sono divenuti il simbolo di una società basata sulla cittadinanza e considerata dissolutrice dell’ordine basato sul nazionalismo, la tradizione…: pensiamoci oggi che si blatera di democrazia illiberale».

– Ritiene che la distinzione tra antisemitismo e antigiudaismo sia necessaria e utile, oppure pensa che l’antigiudaismo non sia altro che una forma di antisemitismo?

«Sì, ma non a fini apologetici, cioè non per dire che il cristianesimo è stato “solo” antigiudaico, quanto per individuarne la responsabilità specifica: aver messo al centro del suo discorso la visione di Israele come popolo diseredato, soppiantato dalla chiesa, reietto da Dio eppure conservato come una sorta di controfigura negativa del cristianesimo, minuscolo eppure minacciosissimo. Quando si è manifestato l’antisemitismo razzista, tutto questo era da secoli ed ecumenicamente diffuso».

– Che cosa pensa, in sintesi, dello Stato d’Israele? Perché esiste?

«È la realizzazione della legittima aspirazione di un popolo a tornare e a vivere indipendente e sicuro nella terra in cui è nato, e cresciuto, che dominazioni straniere hanno oppresso e scacciato, senza che però il popolo e la sua identità venissero meno. Molto laicamente, né più né meno».

– Ritiene che la soluzione del conflitto tra Israele e Palestinesi da molti auspicata: «Una terra, due popoli, due Stati» sia concretamente realizzabile?

«Non so se, nelle condizioni attuali, sia realistica. Noi, però, che non siamo direttamente coinvolti nel conflitto, dobbiamo stare attenti a non fare di questa formula una sorta di slogan che mette a posto la nostra coscienza e nasconde la nostra insipienza».

– Lei è il successore di Jan Alberto Soggin sulla cattedra di Antico Testamento, e ne è anche stato l’allievo. Qual è la “buona parte” (Luca 10, 42) della sua eredità che lei ha fatto propria?

«L’approccio rigorosamente storico-critico alla Bibbia ebraica unito a un profondo legame alla sua chiesa e all’amore per gli ebrei e Israele. Sul piano umano, la grandezza di un maestro che stima e incoraggia l’allievo, anche quando questi spesso non fa quello che lui avrebbe voluto…».

– La formula tradizionale: «L’Antico Testamento diventa chiaro [patet, nel testo latino] nel Nuovo; il Nuovo è nascosto [latet, nel testo latino] nell’Antico» è ancora proponibile, oppure no?

«Non così. Con l’approccio storico-critico alle Scritture e dopo la riflessione avviatasi solo dopo la Shoah, la sfida è quella di riscoprire quello che chiamiamo Antico Testamento come le Scritture che stanno a monte della chiesa e di Israele e che condividiamo senza fagocitarle».

– C’è chi sostiene che oggi il “popolo di Dio” esista in due tronconi (se così si può dire): la Chiesa cristiana e il popolo d’Israele. Qual è la sua opinione in merito?

«Questa formula è un tentativo di superare la visione secondo cui la chiesa sarebbe il nuovo e vero Israele, il nuovo (e ormai unico…) popolo di Dio. Solleva però altri problemi. Forse dovremmo valorizzare il fatto (Ef 2, 11ss.) che noi siamo “gentili”, cioè uomini e donne che sono coinvolti nella storia di Dio provenendo dalle genti, “lontani” che vengono avvicinati e non costituiscono un popolo, ma una ecclesia».

– Lei è stato anche presidente dell’Amicizia ebraico-cristiana di Roma. Io considero l’esistenza di queste “Amicizie”, dopo la Shoà, un vero miracolo. Anche lei?

«Sì, siamo noi che “abbiamo cambiato idea”, abbiamo manifestato il bisogno di ascoltare la voce ebraica e di dialogare con ebrei dopo che per quasi duemila anni l’atteggiamento prevalente era stato un altro…».

– C’è chi afferma che i cristiani siano stati, nei secoli passati, i maggiori nemici e i più accaniti persecutori degli Ebrei. È così, oppure c’è stato di peggio?

«Sicuramente tra la vittoria del cristianesimo come forza egemone (IV secolo?) e l’epoca della tolleranza, il cristianesimo è stato il principale agente di diffamazione e di vessazione degli ebrei».

– Karl Barth affermava notoriamente che il vero problema ecumenico è il divorzio tra Chiesa e Sinagoga. Secondo lei è giusto vedere le cose così?

«È una semplificazione, certamente sul piano storico: la “separazione delle strade” tra i vari gruppi cristiani diciamo del I secolo e le variegate correnti dell’ebraismo coevo non è ben compresa se si riduce tutto a “chiesa” e “sinagoga”».

– Lei è anche da molti anni direttore della Biblioteca della Facoltà valdese di Teologia, che contiene alcuni “tesori”. Quali sono?

«Vi sono edizioni antiche, della Bibbia e di altre fonti, testi che documentano la diffusione in Italia di protestanti ed evangelici a partire dall’Ottocento, ma il tesoro più grande è la biblioteca stessa, oltre centomila volumi, centinaia di periodici, un patrimonio che cresce secondo le esigenze… tutto a portata di mano per chi vuole studiare per pensare. A esempio, per ognuna delle brevi domande che lei mi ha fatto, si possono leggere decine di volumi in varie lingue…».

 

Nella foto di Pietro Romeo, il professor Daniele Garrone