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C’è treno e treno

La val di Susa è tornata al centro dell’attenzione mediatica per le nuove manifestazioni iniziate nei giorni scorsi contro la costruzione del nuovo autoporto di San Didero, una delle tante opere connesse alla Torino-Lione, la linea ferroviaria che tiene banco da più di 30 anni e che ha compattato un’intera valle, e non solo, contro la costruzione di un’infrastruttura ritenuta, dati alla mano, non fondamentale. Il movimento No-Tav ha organizzato proteste, assemblee e marce e alcune di esse si sono radicalizzate generando gli sconti con le forze dell’ordine dispiegate a guardia dei vari cantieri. Si lamentano alcuni feriti da entrambe le parti.

Davide Rostan è pastore a Susa (e Coazze) e da anni segue l’evoluzione del movimento No-Tav e ha voluto fare un confronto con un altro treno e un’altra situazione, quella della val Pellice e del treno soppresso per Pinerolo e dei nuovi progetti in corso.

«La situazione è molto diversa ma per alcuni aspetti può essere considerata simile. In val Pellice l’infrastruttura esiste già mentre in val di Susa si protesta ormai da più di trent’anni per un’opera che deve essere costruita ex-novo con costi incredibili e tempistiche lunghissime e tutta una serie di problemi ambientali che non possiamo qui spiegare nel dettaglio (smarino pericoloso per la presenza di amianto, falde acquifere che scompaiono…). Inoltre il famigerato corridoio est-ovest, che avrebbe dovuto attraversare l’Europa è diventato ormai un progetto superato. Anni di studi hanno evidenziato di come con un potenziamento della linea storica esistente, quella che passa nel tunnel del Frejus, possa sostenere tranquillamente il flusso di merci previsto. Nonostante questo, in val di Susa si continua con piccoli passi di contorno a lavorare all’opera faraonica. La similitudine la possiamo trovare proprio nell’utilizzo di una linea esistente che con poco investimento potrebbe risolvere molti problemi. In questo anno di pandemia a esempio il treno avrebbe potuto diventare una validissima alternativa ai bus, garantendo un distanziamento sociale maggiore (e una sostenibilità ambientale non paragonabile)». In val Pellice però, come ormai è noto, si sono create due correnti: quella favorevole al treno e quella contraria. Al netto di questa divisione rimane il fatto che la regione Piemonte non sta rispettando gli accordi che prevedevano già l’anno scorso la riattivazione. Ma è interessante cercare di capire perché mentre nella val di Susa un popolo si è compattato e da anni sta lottando per un obiettivo comune, in val Pellice regna la divisione.

«Qui sta la grande differenza – continua Rostan –: in val di Susa parliamo di un’opera nuova, traumatica per una valle che vede già due statali, una ferrovia e un’autostrada (poco utilizzata) mentre in val Pellice il trauma è stato minore, disattivando una linea esistente ma non sfruttata a dovere». E il nuovo progetto di linea percorsa con bus all’idrogeno ha un costo di 25 milioni di euro che l’l’Unione dei Comuni montani del Pinerolese ha presentato nell’ambito del Recovery plan e ricorda, in scala minore, il grande investimento per il Tav valsusino. «Un treno che funziona – conclude Rostan – può essere un volano per il turismo, per i lavoratori e per tutte le persone che scelgono di venire a vivere in val Pellice, anche se oggi è impensabile avere i numeri di pendolari di un tempo».

Proprio sul primo aspetto bisognerebbe puntare e tutti i soggetti presenti sul territorio dovrebbero esprimersi in merito. Alcuni lo hanno fatto, altri stanno ancora in silenzio».