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Vaccini e informazione: istruzioni per l’uso

A un anno dall’irruzione del nuovo coronavirus Sars-CoV2 in Italia siamo arrivati ad avere dei vaccini; questi nuovi farmaci funzionano; la propensione a vaccinarsi è buona ed è in faticosa crescita.

Questi tre fatti erano tutt’altro che scontati sino a pochi mesi fa e pertanto possiamo considerarli delle “buone notizie”, fra le più importanti che i mezzi di informazione siano chiamati a dare in queste settimane concitate. Parliamo di una delle vie di uscita dalla più grave crisi sanitaria ed economica dell’ultimo secolo. E mentre seguiamo i contatori delle inoculazioni, assistiamo anche a una partita cruciale sul fronte dell’informazione che l’Organizzazione mondiale della Sanità spiega così: «Un giornalismo scientifico di qualità non è mai stato così importante. I giornalisti giocano un ruolo vitale nell’informare il pubblico sugli sviluppi della scienza, i vaccini in particolare, in un periodo di pubblicazioni scientifiche senza precedenti».

Un compito alto e un obiettivo non sempre centrato. Stando ad alcuni dati interessanti raccolti dall’Osservatorio Scienza Tecnologia e Società, fra aprile e ottobre è peggiorato sensibilmente il giudizio verso l’operato dei mezzi di informazione e degli esperti scientifici nazionali.

In particolare, è cresciuta l’insofferenza verso la sovraesposizione mediatica di certi scienziati, considerata da sempre più persone una fonte di confusione più che di chiarezza. Ma non va meglio l’apprezzamento per il lavoro dei giornalisti, che cala dal 63 al 44 per cento.

Questo dato merita qualche riflessione. Il rapporto fra giornalismo e opinione pubblica è particolarmente delicato quando si tratta di vaccini. L’impressione è che si giochi sempre a nervi scoperti. Si può sbagliare tono. Nell’autunno del 2014 vennero segnalati 13 eventi avversi gravi o fatali in concomitanza con la somministrazione del vaccino antinfluenzale Fluad. Furono ritirati alcuni lotti del farmaco e anche se le analisi non riscontrarono alcun nesso con il vaccino, alla fine titoli come «Vaccini killer», «Morti sospette e caos», «Non usate quei vaccini» lasciarono il segno più di quelli che raccontavano dell’allarme rientrato.

Alla fine della campagna la vaccinazione delle persone fragili risultò crollata del 30 per cento, con costi umani e sanitari importanti. Si può poi sbagliare l’interpretazione di un dato: è il caso dei “furbastri del vaccino”, accusati di saltare la fila per il vaccino anti-Covid, quando si è trattato in gran parte di personale non sanitario di ospedali, Asl e Rsa. Discutibile la scelta delle priorità, senz’altro, ma qualcosa di diverso da una frode di massa.

Infine si può vacillare nella capacità di trattare le fonti. Ricordate le inchieste sulle e-mail fra l’Agenzia europea del farmaco (Ema) e la farmaceutica Pfizer? Si trattava di messaggi “ripescati dal dark web” che rivelavano problemi nella qualità di alcuni lotti di vaccino e la pressione a cui si sentivano sottoposti i valutatori dell’Ema, stretti fra l’urgenza di vaccini efficaci e disponibili per milioni di cittadini europei e l’assoluta necessità di mantenere standard altissimi di selezione prima di approvare la distribuzione di un nuovo farmaco. Il punto, però, è che alcuni dei documenti sono risultati manipolati, prima di essere diffusi online. Che fare, al-ora: tacere? Niente affatto, ma la storia degli EMAleaks (come sono stati ovviamente ribattezzati) deve insegnare a maneggiare attentamente le fonti che derivano da attacchi informatici, chiedendosi sempre da dove arriva “il favore” e soprattutto dichiarandone la provenienza e la natura al lettore.

Sono solo esempi ed è giusto ricordare che il giornalista ha la responsabilità di dare le notizie, ad altri spetta quella di garantire adeguate coperture vaccinali e attuare una corretta comunicazione del rischio. Ma la professionalità con cui si lavora fa sempre la differenza, anche in un contesto di distrazione verso l’informazione scientifica e sanitaria, non a caso riconosciuta nella sua specificità per la prima volta soltanto quest’anno, dalla versione aggiornata del Testo unico dei doveri del giornalista. Sembra incredibile, vero? A vent’anni dai servizi sulla decodifica del genoma, a quarant’anni dai reportage sull’Aids, l’informazione in sanità è stata battezzata nel 2021.

Quel che ci si può attendere di buono, da questa fase di crisi, è una maturazione obbligata tanto di chi fa informazione quanto di chi ne fruisce (oggi non sempre così distinti, a dire il vero). Un equilibrio difficile, fra un giornalismo in cerca di identità fra i canali tradizionali, piattaforme digitali e social network, e un lettore che non sta più dall’altra parte dell’edicola, ma è più istruito e con più tempo libero, partecipa alla produzione dei contenuti, pretende un dialogo e un confronto. E più che far parte di un pubblico fa parte di una collettività che la pandemia ha frammentato, e che un onesto lavoro di informazione può aiutare a ricostruire.