800px-ican_humanitarian_pledge_or_nuclear_arsenal_world_map-696x305

Il 22 gennaio in vigore il Trattato per la proibizione delle armi nucleari. E l’Italia?

La Commissione Globalizzazione e ambiente (Glam) della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei) commenta l’entrata in vigore del Trattato per la proibizione delle armi nucleari (Tpan) del prossimo 22 gennaio.

«Incredibile ma vero, fino all’adozione del Trattato, le armi nucleari pur essendo armi di distruzione di massa non sono mai state vietate dal diritto internazionale» commenta la Glam in un comunicato.

Ci sono voluti circa tre anni, e la svolta è arrivata il 24 ottobre scorso, «una data simbolo in un anno di lutti e paure: la 50° firma di adesione di uno stato al Tpan». Con questa firma (dell’Honduras, ndr), la richiesta adottata dalle Nazioni Unite il 7 luglio del 2017 entrerà in vigore «proibendo esplicitamente l’utilizzo, la minaccia dell’uso, lo sviluppo, la produzione e l’immagazzinamento di armi nucleari».

Importante è stato il ruolo della Campagna Internazionale per abolire le armi nucleari (Ican), che ha ricevuto il premio Nobel per la Pace 2017. Fra i partner della rete, anche il Consiglio ecumenico delle chiese (Cec), fra i primi e più motivati sostenitori della necessità di un testo condiviso sul bando delle armi nucleari.

Il Tpan rappresenta «una norma internazionale nata dal riconoscimento che le armi nucleari rappresentano un rischio per il pianeta e tutto ciò che è in esso inaccettabile – scrive la Glam –. Oggi noi siamo testimoni di un accordo senza precedenti che ha visto il raggiungimento dell’obiettivo per la mobilitazione della società civile internazionale, di singoli cittadini e di stati coscienti. È un segnale importante leggere che i 50 firmatari sono Stati piccoli, in cui la tutela per la vita dell’umanità e dell’intero pianeta ha un significato che non può essere negoziato».

E l’Italia?

«Nel nostro Paese organizzazioni, partiti, movimenti, associazioni, chiese, hanno sostenuto la campagna “Italia ripensaci”, per aderire firmando il trattato, ma purtroppo dal Governo questo atto di coraggio non è arrivato.

Anche l’Italia avrebbe potuto esercitare il diritto di dire stop agli armamenti atomici ma nessuno ha dato voce alla volontà di quegli italiani che al 72% sono favorevoli al trattato e al 65% vorrebbero la rimozione delle testate nucleari statunitensi presenti sul territorio in accordo al “nuclear sharing”.

L’ Italia – continua la Glam – è rimasta sorda così come lo sono stati i 9 stati che possiedono arsenali atomici e dai quali non giunge alcuno spiraglio di apertura, nonostante sia evidente che proprio in un momento così difficile gli equilibri del pianeta sono messi a dura prova: pandemia, strategie per il primato del commercio mondiale, gestione delle risorse (tra queste l’acqua), sono tutte scintille pronte a prendere fuoco, mentre il mondo intero può essere tenuto sotto scacco.

Nonostante sia forte la speranza che giunga presto il giorno del completo smantellamento degli arsenali (ricordiamo che in Italia ci sono 40 testate nucleari, di cui  20 ad Aviano e 20 a Ghedi), dobbiamo essere coscienti del fatto che saranno tempi lunghi e difficili, soggetti a negoziati delicatissimi, basti pensare che la questione riguarda il patrimonio bellico non solo formato da missili, ma anche da sottomarini, cacciabombardieri come i nostri F35, portaerei, un’intera economia armata che pesa tanto sui bilanci degli Stati».

Stante la connessione tra nucleare civile e militare, prosegue la Commissione Fcei, «riteniamo che questa ricorrenza, risultato della pressione della società civile internazionale, vada associata a un impegno di mobilitazione rispetto alla gestione delle scorie nucleari (in molti casi fisicamente ineliminabili, come il plutonio, isotopo artificiale che impiega 24.000 anni solo per ridursi alla metà) provenienti da centrali energetiche e da attività produttive (ufficialmente macchinari per analisi e terapie mediche e alcune macchine industriali utilizzate principalmente per le analisi produttive di parti metalliche e per altre applicazioni di analisi e ricerca) che contribuiscono a distruggere gli equilibri vitali del pianeta, mentre l’economia circolare è poco più di uno slogan promozionale».

«Il riferimento di cronaca, avverte ancora la Glam, è la pubblicazione, il 5 gennaio scorso, della mappa delle 67 aree in cui depositare i rifiuti radioattivi italiani. Redatta dalla Sogin, società che si occupa dello smantellamento delle vecchie centrali, ha il benestare dei Ministeri dello Sviluppo economico e dell’Ambiente.Inizia il processo che nel giro di qualche anno porterà alla localizzazione del sito che in un primo momento dovrà contenere 78 mila metri cubi di rifiuti a bassa e media intensità, e poi anche 17 mila metri cubi ad alta attività, questi ultimi per un massimo di 50 anni, per poi essere sistemati in un deposito geologico di profondità di cui al momento poco si sa, dove decadranno in “soli” 300 anni. Per il deposito e il parco tecnologico è prevista una spesa di 900 milioni di euro, che saranno prelevati dalle componenti della bolletta elettrica pagata dai consumatori. Sono già arrivati segnali di opposizione, ma la pressione del debito pubblico degli enti locali rischia di essere un fattore premiante per amministratori pubblici favorevoli – conclude il comunicato della Commissione globalizzazione e ambiente –. Consapevoli di ciò, non dobbiamo smettere di sostenere lo sviluppo di una nuova etica globale che permetta di difendere la sopravvivenza della civiltà abolendo l’istituzione della guerra e tutti i suoi annessi, e che cerchi la pace fuori dai giochi di potere. Il nostro Paese non può continuare, come scriveva nel 300 Vegezio a “cercare la pace preparando la guerra”, anche noi oggi dobbiamo trovare la forza di affrancarci da questa ipocrisia».

 
Nella foto di wikimedia commons – i Paesi del mondo in base al loro posizionamento a favore o contro gli arsenali nucleari